2 febbraio 2007

Atti degli Apostoli – Capitolo 15 versetti 36-40

- Canto iniziale (Chi ci separerà)
- Invocazione dello Spirito Santo
- Lettura del brano (Atti 15,36-40)
- Commento
- Intenzioni

Il capitolo inizia e termina sotto il segno di quella divisione propria della storia degli uomini, ma essa non costituirà per nessuno dei protagonisti un alibi per tirarsi indietro, anzi da qui partirà la missione che arriverà ad evangelizzare l’Europa.

Infatti Paolo e Barnaba in disaccordo tra loro, ma uniti nel forte amore per Gesù Cristo, intraprendono nuovi cammini moltiplicando così gruppi missionari che portano il Vangelo fino ai confini della terra.

Davvero “nulla è impossibile a Dio”; anche Maria madre della Chiesa credendo a queste parole, si fece missionaria, accolse e donò all’umanità l’Autore della vita e della Salvezza.

SAN PAOLO

San Paolo non è solo l’apostolo del Cristo, ma, con la sua esperienza ci offre una persuasiva e perseverante testimonianza dell’Uomo di Nazareth.

Israelita intransigente e focoso, profondamente esperto nella Legge, non ammetteva innovazioni nello spirito del puro ebraismo. Per questo, già dagli inizi, subito dopo la Crocifissione di Cristo (che forse egli ignorò, come ignorò la sua Risurrezione) si diede a perseguitare la Chiesa nascente con repressione cruente.

Fu durante una spedizione a Damasco con in mano le autorizzazioni ad inquisire e perseguitare i cristiani seguaci della “setta”, che una folgore misteriosa lo atterrò e una voce disse: “Saulo, Saulo! Perché mi perseguiti?”. Convinto che quella voce non poteva essere se non del Cristo Risorto, da quel momento Saulo si rialzerà convertito al Vangelo e – Paolo – si arruolerà nell’apostolato scoprendo la sua vocazione missionaria nella comunità cristiana (Cor. 15, 10). Egli conserverà una costante memoria di quell’evento che ha cambiato la sua esistenza, evento talmente importante per la Chiesta intera, che negli Atti degli Apostoli vi fa riferimento ben tre volte (At. 9, 3-9; 22, 6-11; 26, 12-18).

Non è stato né pescatore né banchiere; per sopravvivere e mantenersi agli studi imparò a tessere tende. Dalla sua infanzia come ebreo zelante, figlio di ebrei zelanti, ha sempre studiato teologia con il cervello e con l’anima frequentando a Gerusalemme corsi di specializzazione del rabbi Gamaliele.

Dopo l’esperienza della folgorante conversione al Cristo è diventato uno scriba sapiente e, perché no, un poeta (Col. 1, 15-20; Fil. 2, 5-11; Rm. 8, 35-39; ……), che ha scoperto cose nuove e antiche (Mt. 13, 52) dal suo tesoro – l’Antico Testamento –, ora scrutato con gli occhi della fede in Gesù. Afferma San Paolo: “tutto quello che è stato scritto prima di noi è stato scritto per la nostra istruzione”.

Per lui convertito, Gesù Cristo è l’Alfa e l’Omega, il principio e la fine, il termine assoluto del mondo umano e del mondo fisico.

Catturato nell’anima nel momento in cui questa sua anima era lanciata contro Cristo per cancellarne la Chiesa indifesa dell’antica religione dei Padri, fu capovolto in un istante. Furono però rispettati la sua libertà, la sua intelligenza, il suo impetuoso e perseverante carattere.

Aveva un metodo tutto suo di evangelizzare: quando parlava ai Giudei citava i profeti, ai pagani citava la Bibbia dove la ricerca di Dio passa attraverso i doni, parlando con gli intellettuali di Atene egli citava i pensatori e i poeti greci che esprimevano le migliori attese umane nella ricerca di Dio. Dopo aver denunciato la via sbagliata dell’idolatria, suggerendo quella della ricerca storica e antropologica, Paolo infine arrivava all’annuncio evangelico vero e proprio.

Aveva nella parola di Dio una fede incrollabile; sapeva che la parola di Dio è capace di portare ad ogni uomo la salvezza, là dove le bandiere sociologiche ed etnico-religiose tra Giudei e pagani, liberi e schiavi, uomini e donne, colto e ignorante, venivano spezzate e appianate a favore e in forza del nuovo legame di tutti in Cristo come Signore, formando l’unico multiforme Corpo di Cristo.

Dopo la folgorazione di Damasco egli riconosce Cristo come figlio di Dio e figlio dell’uomo, il Messia inviato da Dio-Jahvè per abbattere, con il suo sangue sulla croce il muro di separazione che divideva due popoli e far nascere un mondo nuovo, universale, l’umanità non soggetta alla Legge, ma ricreata nella libertà della grazia di Dio.

Sua è la sintesi: “Gesù Cristo ieri, oggi, nei secoli”.

Bibliografia: “La vita di Gesù” Carlo Cremona, “Gli Atti degli Apostoli” R. Fabris.

Commento al versetto 38

Lo rileggiamo:

Il dissenso fu tale che si separarono l’uno dall’altro; Barnaba, prendendo con sé Marco, s’imbarcò per Cipro.

La Bibbia di Gerusalemme e quella della CEI parlano di “dissenso”, in un altro testo ho trovato la parola “disputa”, in un altro ancora invece si parla di “aspra contesa”

Qual è stato il motivo del dissenso? Lo leggiamo nel versetto precedente (38):

…ma Paolo riteneva che non si dovesse prendere uno che si era allontanato da loro nella Panfilia e non aveva voluto partecipare alla loro opera.

L’episodio lo ritroviamo al versetto 13 del Capo 13 sempre degli Atti degli Apostoli, dove nel corso della 1° Missione di Paolo e Barnaba, Marco si separò da loro e ritornò a Gerusalemme.

La Sacra Scrittura non riporta i motivi di tale comportamento di Marco, alcuni commenti parlano di disaccordo sul metodo missionario di Paolo.

Paolo era intransigente e non ammetteva tentennamenti nell’azione missionaria.

Cosa ne sarà di Marco?

Lo ritroveremo in alcune lettere paoline, anche se di seconda mano:

Colossesi 4,10

Vi salutano Aristarco, mio compagno di carcere, e Marco, il cugino di Barnaba, riguardo al quale avete ricevuto istruzioni – se verrà da voi, fategli buona accoglienza

2 Timoteo 4,11

Prendi Marco e portalo con te, perché mi sarà utile per il ministero

Marco sarà l’autore del secondo Vangelo, secondo l’ordine canonico, ma il primo ad essere stato scritto.

Cosa ci dice questo testo?

L’unità è sempre da costruire, non si è mai arrivati. Si era appena concluso felicemente il Concilio di Gerusalemme, anche con molte difficoltà e controversie, Paolo e Barnaba erano stati incoraggiati a proseguire nella missione, e subito abbiamo un grosso litigio.

Anche oggi sappiamo che le Comunità Parrocchiali, i Movimenti e le Associazioni, così come i Cristiani all’interno delle stesse Comunità, Movimenti e Associazioni, fanno fatica ad essere uniti. I caratteri e le diverse sensibilità ci portano spesso a dissentire tra noi sui metodi pastorali.

Credo che l’ansia missionaria, per i motivi sopradetti, porti a momentanee e a volte salutari rotture; l’importante è avere in comune lo stesso obiettivo principale: l’annuncio del Vangelo in ogni luogo, compito principe dei laici, in modo che tutte le persone che incontriamo, si aprano a Gesù.

D’altra parte, se Barnaba e Marco non si fossero separati da Paolo, nessuno sarebbe ritornato a Cipro.

E’ compito di ogni cristiano, che ha a cuore la Missione, individuare spazi e situazioni diverse dove operare senza aspettarsi il consenso da parte degli altri.

Per fare questo occorre un forte spirito di Preghiera chiedendo aiuto allo Spirito che ci dia il necessario discernimento.

15, 40-Paolo invece scelse Sila e partì, raccomandato dai fratelli alla grazia del Signore.

Anche affrontando tante difficoltà e dissensi, Paolo e gli altri apostoli avevano un gran desiderio e una gran passione ad andare in missione ad evangelizzare, a far conoscere Gesù alle genti che non lo conoscevano.

Perché andare in missione? L’incontro che abbiamo avuto per il ritiro di avvento con Maria Luisa, che vive, soffre e spera per un popolo così lontano da noi, la catechesi di Don Vincenzo su San Paolo ed i suoi viaggi missionari, dove ci disse che il cristianesimo non può esistere se non si è missionari, mi hanno incuriosito ad approfondire i perché della missione.

Andare in Missione. Ma dove? verso chi? e con quali intenti? Chi può dirsi missionario oggi?

Ecco la risposta di don Tonino Bello: “Chiunque sia appassionato di Gesù, della chiesa e dell’uomo, e abbia il cuore grande quanto il mondo”. Non conta dove si è o si va. Missionario è chi si fa scompaginare l’esistenza da Cristo, chi si lascia scavare l’anima dalle lacrime dei poveri, chi interpreta la vita come dono e decide di camminare nel proprio tempo come operatore di giustizia, di pace, e per la salvaguardia del creato.

Dio che ha generato gli uomini per amore, desidera che l’annuncio di salvezza sia portato a tutti e per questo ha mandato nel mondo suo figlio Gesù Cristo: “Venuto a cercare e a salvare quello che era perduto” (Lc.19,10)

Nel racconto della Samaritana di cui parla il Vangelo (Gv.4,1-26) ciò che più conta secondo don Tonino non è tanto che la Samaritana sia rimasta folgorata dall’incontro con Gesù, ma ciò che fa subito dopo la sosta che le cambia la vita, compie tre gesti fondamentali: “lascia la brocca, va in città e dice alla gente: venite a vedere!” Assume, cioè, la poverà come criterio di vita, muove verso il mondo per annunciare la meraviglia dell’incontro con Gesù e testimonia la sua esperienza propria e quella altrui. La chiesa missionaria dovrebbe fare altrettanto. Don Tonino auspica una chiesa tutta laicale non ricurva su sé stessa ma missionaria. Invita i chierici a cingersi il grembiule del servizio ed a lavare i piedi del mondo e il popolo di Dio a vivere la propria vocazione valicando i confini della sacrestia per aprirsi al territorio, in cui contemplare, accarezzare e amare il volto dell’altro.

Usando una metafora calcistica, sprona la parrocchia a giocare sempre in trasferta.

I missionari non partono soli, ma sono sostenuti da tutta la comunità con preghiere e dialoghi spirituali che li accompagnano e danno anche a chi non parte un coinvolgimento nella loro missione.

Ma anche senza varcare i mari si può svolgere il compito missionario affidato dalle parole “andate ad annunciare ai miei fratelli” (Mt.28,10), con le persone che incontriamo in famiglia, sulla strada, al lavoro, da cui sale una domanda in cerca di risposta, che consenta di recuperare il senso smarrito dell’esistenza, il desiderio di una più vasta fraternità e della pace, il gusto di valori morali disattesi ma non mai spenti.

La missione è un’azione liberatrice, ma discreta, proposta, mai imposta, che presuppone, come per la Samaritana, l’incontro con Dio incarnato in Gesù Cristo, lasciando a colui con il quale si parla uno spiraglio da cui possa scappare lontano, così il suo incontro si tingerà di libertà.

Il missionario che si mette in viaggio è accompagnato da due simboli :il bastone del pellegrino e la bisaccia del cercatore.

Cosa significa prendere il bastone del pellegrino? Frequentare i crocevia della storia. Aprirci a visioni planetarie. Cambiare mentalità e rotta. Sperimentare un nuovo modo di essere religiosi. Uscire dal guscio della ritualità. Confrontarci con gli altri. Andare verso l’incrocio delle culture.

Ma non basta. Occorre anche la bisaccia : non quella del viandante, ma quella del cercatore, del mendicante. Noi cristiani siamo troppo abituati a riempire la bisaccia per andare a scaricarla agli altri. Invece ce la dobbiamo portare vuota, per riempirla dei valori che possono darci gli altri. Un po’ come ha fatto San Paolo: ha cercato le cose belle della cultura ellenistica e le ha messe nella sua bilancia. “Esaminate ogni cosa – scriveva ai Tessalonicesi 1,21 – e trattenete ciò che è buono”. San Paolo la sua bisaccia l’ha riempita di queste perle che ha trovato in giro sulle bancarelle della cultura greca. (Don Tonino Bello “Missione” )

Preghiera (Da “Un concilio per l’unità dei Cristiani”)

Signore, noi Ti apparteniamo
perché siamo fatti a tua immagine
aiutaci ad essere fedeli
alla Tua vera immagine, Gesù Cristo tuo Figlio
considerando le nostre differenze,
non come fattori di divisione,
ma come il privilegio
di essere e di appartenere
alla Tua divina diversità


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