Di ritorno dalla veglia del Papa
Cogliere la realtà è osservarla piuttosto che descriverla a parole e presuppone un silenzio che in pochi sono disposti a “sopportare”. Dall’albero del silenzio pende il suo frutto, la pace. (A. Schopenhauer). Il Papa ci ha chiamati ai piedi di quella pianta e con discreto imbarazzo ci siamo dovuti accodare ad un popolo silenzioso; Nessuno spettacolo! Solo un libretto di 90 (!!) pagine che guidava un silenzio a tratti insopportabile. Non nascondo la mia disabitudine al silenzio. Piazza San Pietro gremita di fedeli (…non strabordante come in tanti altri momenti a fronte di una città piena di gente e di locali pieni confermano che la crisi non è solo di natura economica) in un silenzio surreale pone la domanda del senso stesso di quel “deserto” pieno di persone; ma abituati come siamo al peso del fluire inarrestabile delle parole la realtà del silenzio ci imbarazza, ci fa storcere il naso all’insù; le riprese televisive hanno più volte colto il Papa in preghiera stanco e prossimo all’addormentamento che, peraltro non ha fatto fatica a contagiarci. E’ la prima volta che torno a casa con un senso di “fatica” difficile da gestire perché in realtà il compito a casa che ci è stato affidato dal papa è inginocchiarci per elemosimare la pace di cui abbiamo un gran bisogno e riconoscere che i grandi cambiamenti sono etero diretti; le nostre raffinate strategie lasciano il tempo che trovano; la pace è dura, come la realtà che non è come la vorremmo e non si ottiene con strategie a tavolino o scimmiottando i grandi profeti della storia ma cambiando noi stessi; è tempo di cambiamento; la realtà ci sta cambiando le carte in tavola; tutto cambia ma c’è una resistenza incredibile al cambiamento; ognuno, se con realismo guarda la propria vita non può che vedere addirittura dei tratti regressivi, altroché rivoluzionari; don Oreste diceva sempre : siate incendiari piuttosto che pompieri. se guardiamo in faccia le nostre realtà famigliari, e tutti i luoghi che abitualmente tocchiamo con la nostra presenza, non possiamo far altro che metterci in discussione e riconoscere che è da quel mondo che nascono le bombe che di volta in volta insanguinano le parti più impensate del mondo; c’è un legame stretto tra micro e macro storia, ormai non vi è alcun dubbio.
Oggi i mezzi di comunicazione amplificano a volte in maniera esagerata gli eventi tragici di una quotidianità che coinvolgono le famiglie, i ragazzi etc.; è come se il male inspiegabile e incredibile non avesse più paura di essere ostentato; madri che uccidono i figli, e viceversa sono la punta di un iceberg che impone una riflessione sul cuore dell’uomo;
da sempre la chiesa studia questa patologia conoscendo, con il vangelo la sua fisiologia; oggi, i midia urlano ciò che da millenni viene raccontato nei confessionali ma i dati raccolti, ahimè vengono male interpretati spesso da figure professionali “accattivanti” e apparentemente sagge; il cuore dell’uomo non è spiegabile con singole branche scientifiche o filosofiche; solo lo sguardo rivolto a “Colui che ha fatto il mondo” ( Così si intitola un bel libro di a. Zichici) può farci entrare nel merito; le librerie sono piene di “ nuovi stregoni” che sembrano spiegare tutto a tutti; ad ogni esigenza c’è una risposta, poco importa se giusta o sbagliata, ma ciò che preoccupa è la perdita di contatto con i fondamentali della realtà; è di questi giorni la polemica ( nota da anni a chi è attento ai linguaggi ) a quella gravissima interpretazione che ad alcuni fa sorridere ma a me impietrisce e cioè la abolizione dei termini Padre e madre a favore di genitore 1 e genitore 2; una rivoluzione silenziosa, devastante e violenta ( soprattutto per le generazioni future che navigheranno prive di bussola) che ha un compito micidiale e cioè disconoscere la paternità delle paternità, quella di Dio che è l’unica capace di sostenere le sorti del mondo; una mina quasi silenziosa messa alle radici di un palazzo che può crollare tutto più che una esplosione nucleare; abbiamo un compito straordinario irrinunciabile al di la della nostre piccolezze, i nostri difetti, le nostre incongruità ed è quello di ricostruire il vocabolario della vita sia pure quello dei sinonimi e contrari contrastando quell’antilingua che vorrebbe solo sinonimie e accattivanti menzogne passate per verità.
Ma c’è un passaggio cruciale che ci deve interrogare in maniera seria e non è facile( in primis per me): non è infatti, questo un compito esclusivamente personale ma di popolo; molte volte parliamo di cose vere ma siamo di ostacolo alla verità; tante volte mi fermo a pensare se dietro il fiume di parole che ormai non ci costa neppure fatica a far scorrere c’è l’ incontro con una misericordia che non vuole “cancellare” ma indicare. Dunque la vera esigenza è di vivere questa passione per la verità come popolo; è un compito altrettanto difficile perché siamo abituati al devozionismo e al personalismo (quanti di noi si perdono dietro ai predicatori che ci dicono di volta in volta quello che vogliamo, ); il grande B. XVI il Papa che ha sorretto tre papati ( non ultimo l’attuale) nella catechesi del suo commiato ha indicato nel popolo presente in piazza san Pietro la certezza che Dio è li e la chiesa non finirà mai; mi guardavo intorno; e vedevo tanta gente normale, alcuni fastidiosi e rumorosi altri assorti nella preghiera, ma il timone era in mani sicure pur nel clamoroso gesto; è la stessa esperienza che mi ha fatto cogliere la Macerata Loreto; nella notte un popolo che cammina con il proprio fardello sa di essere ben guidato e giunge sicuramente a destinazione. Purché ci si renda conto di dover seguire Qualcuno e non se stessi; la Chiesa è questa garanzia . Continuo ad avere questa netta convinzione.
Francesco Amaduzzi