6 gennaio 2012
Giovanni Nicolini si racconta
La vita di un uomo e di un prete in più di due ore e mezza di racconti dagli anni quaranta ad oggi. I genitori, la famiglia, il grande amore, i primi incontri significativi da Arturo Benedetti Michelangeli quando aveva 4 anni, poi Dossetti, il Concilio Vaticano, Lercaro, don Milani, i grandi filosofi, gli atei… la Parola di Dio e soprattutto i poveri.
Intro di don vincenzo (05:40)
Ascolta don Giovanni Nicolini (02:28:31)
Non ci sono parole per ringraziare don Giovanni delle 2 ore e mezzo che ci ha dedicato. Il racconto della sua vita, a cuore aperto, una vita da cristiano bellissima ed intensa, una vita punteggiata da incontri con tante persone straordinarie, che in genere se te ne capita una nella vita già ti sembra incredibile. Non solo gli incontri citati espressamente (Benedetti Michelangeli, Don Primo Mazzolari, don Lorenzo Milani, Ivan Illich, Lanza Del Vasto, card. Lercaro, card. Pellegrino) ma anche quelli non detti (Helder Camara, Luigi Bettazzi, Raniero La Valle, ecc.). E poi la vicinanza con una persona straordinaria come don Giuseppe Dossetti, l’unico italiano che ha avuto la ventura di vivere in prima persona il più importante evento civile italiano del XX° Secolo, la Costituente, e il più importante evento religioso del XX° Secolo, il Concilio Vaticano II°. Molte delle persone citate le abbiamo presentate in questi anni agli incontri della Scuola di pace, e questo ha accresciuto la nostra emozione e commozione.
C’è un passaggio della conversazione che vorrei riprendere: “L’impressione che tu hai è che venga avanti una generazione che è diversa da quella che, 300 anni fa, ho vissuto io. Perchè il ’68 era contro Dio e contro la Chiesa”. So bene che questa è l’interpretazione che noi cattolici abbiamo dato di quelli anni, ma non sono per niente d’accordo. Parto dall’omelia del nostro Vescovo nel giorno dell’Epifania; “Non si arriva a Dio senza gli uomini. Già la Chiesa ha pagato abbastanza, nel momento in cui la religione era diventata l’oppio per sanare il bisogno di giustizia dei popoli”. Tu stesso, don Giovanni, hai detto che se il cristiano vuole restare sempre in cammino deve ogni giorno riporsi domande piuttosto che darsi certezze. Gli anni ’60 hanno cercato di fare proprio questo, rimettere tutto in discussione, chiedersi su tutto, anche sulla religione, perchè non si potesse fare diversamente. Il tutto condito da un grande desiderio di giustizia e di pace. In fondo Papa Giovanni indisse il Concilio col desiderio di porre nuove domande in un mondo che stava profondamente cambiando. Mi azzardo a dire che se il Concilio fosse arrivato qualche anno prima e fosse stato pienanente messo in pratica, l’atteggiamento del movimento giovanile degli anni ’60 sarebbe stato profondamente diverso sia verso Dio che verso la Chiesa. Invece gli anni ’60 videro la Chiesa schierata coi paesi colonialisti e neocolonialsiti invece che coi paesi impoveriti del Sud del mondo, videro la Chiesa schierata dalla parte di chi conduceva guerre imperialiste (Algeria, Corea, Vietnam, …) invece che dalla parte di chi ricercava nuovi equilibri internazionale basati sulla giustizia e sulla nonviolenza.. So bene che tu, don Giovanni, mi citerai Helder Camara e il card. Lercaro. Don Giuseppe Dossetti e il card. Pellegrino: ma, appunto, eccezioni, non la posizione della Chiesa e dei cristiani di quegli anni. Fu inevitabile, allora, che come un secolo primo col marxismo si era determinata una frattura profonda fra la Chiesa e il mondo del lavoro, così negli anni ’60 si ripetesse quella frattura fra la Chiesa e il mondo giovanile. E’ per questo che quando Il 27 settembre 1997 al Congresso Eucaristico di Bologna Giovanni Paolo II° invitò Bob Dylan (contro il parere della Curia e in particolare del card. Ratzinger) compresi che stava per avvenire la ricomposizione di quella frattura che tanto male ha fatto alla Chiesa e al mondo. Dopo aver cantato Forever Young (Per sempre giovane), quasi un auspicio per l’anziano e malato Papa, e Knockin’ on Heaven’s Door (bussando alle porte del paradiso) Bob Dylan si toglie la chitarra, si dirige verso il pontefice, e togliendosi il cappello, gli prende le mani ed effettua un breve inchino. Per me è una delle scene più belle del 20° secolo, una sorta di simbolica riconciliazione fra il mondo cattolico e quello giovanile degli anni ’60. Gli anni ’60 furono anni di contestazione largamente nonviolenta, e se avessero avuto il mondo cristiano dalla stessa parte avrebbero potuto avere un esito ben diverso. Invece, tutto è stato rimangiato e annullato, come molto bene tu hai rappresentato raccontandoci Dossetti che legge Marcuse: “c’era tutta questa contestazione globale, ma lui faceva vedere che il Sistema era talmente potente che avrebbe rimangiato tutto, e tutte queste parole, e gesti, e speranze e bandiere, che per noi era “bisogna fare tutto nuovo”, sarebbe stato tutto rimangiato”. Ciò che, purtroppo, è regolarmente avvenuto. E la perdita di ogni speranza di cambiare il mondo ha portato qualcuno alla terribile degenerazione del terrorismo dei decenni successivi, tradimento e non ideale continuazione degli anni ’60 come qualcuno, stoltamente, ha detto.
Termino con un ultima citazione: in Europa noi diciamo “il ’68″ perchè fu l’anno del maggio francese e dello scoppio della contestazione giovanile nelle università. Ma negli Stati Uniti era già tutto avvenuto nel 1964 a San Francisco all’Università di Berkeley. Quel movimento però aveva avuto due prologhi a metà degli anni ’50: prima con Allen Ginsberg, poeta della beat generation, che nel 1955 a San Francisco legge la sua famosissima poesia “L’urlo”: “Ho visto le migliori menti della mia generazione distrutte dalla pazzia, affamate, nude isteriche …” e poi nel settembre del 1957 con la pubblicazione del famoso libro di Jack Kerouac “On the road” (Sulla strada). Ebbene proprio a Kerouac, considerato il padre della generazione degli anni ’60, posero questa domanda: “Ma in fondo, la beat generazione cosa cercava?” La risposta di Kerouak, tanto sorprendente quando efficace, fu “Era una generazione sulla strada alla ricerca di Dio”. Se lo avessimo capito in tempo, le cose sarebbero potute andare ben diversamente.
Ti benedico (e benedicimi)
Luciano Benini
Provo anch’io a scrivere qualcosa per accodarmi ai ringraziamenti di Luciano, ma con meno sapienza storica di lui con qualcosa di veloce che ho nel cuore.
Caro Giovanni innanzitutto ti dico che ti voglio bene veramente. Voler bene a te significa anche voler bene a me stesso, perché ciò che senti è profondamente mio, come quella vertigine che provi quando pensi all’universo in espansione, o che io sento anche difronte ad un piccolo fossile che ha milioni di anni. Ne ho già scritto e non voglio ripetermi. Le tue parole sono una specie di psicoterapia contro quel desiderio che a volte mi piglia di avere una fede devozionale che non ho, e che mi semplificherebbe molto la vita interiore. Anche questo l’ho detto: a volte mi sembra che mi manchi solo il rosario come ancora di salvezza alla mia incredulità. Ma è evidente che mettendo insieme te e don Oreste la stella cometa forte che dovrebbe orientare la mia vita è sì la Parola di Dio, ma soprattutto la povertà, tutta da scoprire in me stesso e nei fratelli/sorelle da servire. Ti ringrazio per quello che sei e per quello che non sei. Forse io sono una persona che ha bisogno di spinte entusiastiche di chi ti spinge a cambiare il mondo insieme, come faceva appunto don Oreste con quel: “Dai, ci state?” “Che bello!” “E facciamo un applauso al Signore che ci ha fatto incontrare!”… un approccio che mi manca molto, proprio perché per me non facile. Ma anche per questo ti dico grazie, perché anche tu, così diverso da don Oreste sei sostenuto dallo stesso Spirito, per essere come lui e Giovanni Battista “testimone, non opacità, ma trasparenza di Gesù”… basta non voglio farla lunga per ringraziarti.
Speriamo di incontrarci ancora, e presto.
Ti benedico e benedicici
WVT
Sono d’accordo con Luciano, non ci sono davvero parole per ringraziare don Giovanni e per far capire a chi non c’era quello che è successo giovedì.
E’ vero, io sono uno che si entusiasma facilmente, ma l’incontro con don Giovanni credo che sia stato oggettivamente qualcosa di eccezionale.
Abbiamo vissuto, in un’atmosfera che definirei liturgica, la storia degli ultimi cinquant’anni dell’Italia e non solo. E tutto attraverso il percorso di vita e spirituale di un uomo che questi cinquant’anni li ha attraversati continuando con grande umiltà a cercare, a porsi domande, ma sopratutto ad agire infaticabile e coerente. Un uomo che ha avuto la fortuna di incontrare grandi maestri ma che i grandi maestri gli ha anche cercati con tenacia (estramamente commoventi e istruttivi i racconti delle sue visite a Barbiana).
Sono state due ore che mi hanno fatto capire tante cose, della chiesa, della politica italiana e mondiale e infine di me. E, come sempre succede quando incontro don Giovanni, mi si è ravvivata nel cuore la speranza e mi si è ampliato l’orizzonte.
Invito quelli che non c’erano a sentire l’audio dell’incontro, in particolare i giovani. E’ vero non è assolutamente la stessa cosa senza guardarsi negli occhi, ma vi assicuro che il tempo che impiegherete sarà ampiamente ripagato.
Anche io don Giovanni non posso che dire bene di te.
Grazie ancora
Paolo
Caro Giovanni
Cari tutti
mi inserisco anche io nel coro dei ringraziamenti a d. Giovanni anche se credo che l’esito più importante di una iniziativa del genere debba essere quello di trovare assieme alcuni elementi comuni di un cammino di fede che aiuti una comunità intera a sentirsi tale ben oltre ciò che ciascuno con la sua sensibilità ha recepito da un tale torrente di ricchezza spirituale e e intellettuale.
Le sollecitazioni che ci sono arrivate da te d. Nino (assieme ai tanti che in questi anni hanno girato a vario titolo per la nostra parrocchia) sono infinite e anche diverse tra loro per cui credo che sia nostro compito fermarci assieme a riflettere su quanto, di queste testimonianze, possa diventare nostro patrimonio non solo nei termini di una conferma di quanto abbiamo già dentro, ma nei termini invece di una messa in discussione di un cammino che ogni giorno necessiterebbe di una verifica.
Io volevo contribuire riportando solo una delle tante indicazioni lasciateci sabato scorso da d. Nino e che rilancio attraverso alcune frasi di un vecchio intervento di d. Giuseppe Dossetti del 1993 nel quale d. Giuseppe descriveva le condizioni per un serio dicepolato: “…è sempre più necessario che il discepolo, nel suo agire…sappia condervare…la dimensione della ppiccolezza evangelica. Nel Vangelo è formula abituale di Gesù indicare i propri discepoli come questi piccoli…” Piccolo nel senso di “…povero, umile, mite, privo di autorità e di clutura religiosa… semplice…nel senso di avente cuore unito, non doppio…”.
Prosegue Dossetti allargando questa dimensione dal livello personale al livello comunitario auspicando che sia la comunità stessa a “…cercare, senza vane ansietà, prima di tutto il Regno di Dio…” perche “…tutte le altre cose vi saranno date in aggiunta…”.
Infine allargava questa dimensione alla chiesa tutta sostenendo che “…forse si dovrebbe incominciare ad ammettere che ci può essere, dopo venti secoli di cristianesimo, anche nella Chiesa, oggi, quella svolta che si è verificata nella vita di Cristo a un certo punto della sua predicazione in Galilea, dopo i primi trionfi. Svolta che progressivamente lo ha portato all’insuccesso, alla sconfitta e alla morte… Quanto più possenti si fanno sulla terra le concentrazioni di potere rese possibili dalla tecnologia, tanto più su questa terra la Catholica se ne starà spoglia di potere…”.
Su questi, e altri, contenuti dovremo riflettere e costruire la nostra dimensione comunitaria al di là delle occasioni di vita comune che ci siamo fatti sfuggire in questi anni e sulle quali dovremo ritornare nella preghiera facendoci aiutare dalle grandi testimonianze che però esigono una contestualizzazione nel nostro ambiente anche se sappiamo bene quanto siamo diversi tra noi.
Saluti
NINO
ps mi sarebbe piaciuto sapere qualcosa di più sul tema della spiritualità orientale che don Nino ha appena accenato e che in parte ho conosciuto asoltando amici di d. Giuseppe e leggendo tanti delle sue cosa specie a proposito dell’induismo