Rinnoviamo la pastorale giovanile
Ecco la traccia definitiva che utilizzeremo come documento preparatorio al “Piccolo sinodo” che dal 21 al 31 maggio dedicheremo all’emergenza/opportunità educativa. Sono appunti tratti dal convegno ecclesiale di Verona a cui abbiamo aggiunto una serie di domande utili alla riflessione e alla preparazione degli incontri di fine maggio, di cui presto vi faremo avere il programma dettagliato.
Chiunque sia mosso anche da un piccolissimo desiderio di aggiungere qualcosa, di contribuire con un proprio pensiero o una propria critica costruttiva lo può fare attraverso i commenti sotto questo articolo, oppure inviando una email a piccolosinodo@santafamiglia.info.
Tutto quanto appunterete sarà motivo di riflessione nelle riunioni che faremo tutti i lunedì sera nel mese di maggio alle 21,30 dopo la messa a Casa Nazareth, incontri in preparazione al “Piccolo sinodo” a cui voi tutti, giovani, educatori, genitori, insegnanti… siete calorosamente invitati.
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Resoconto del dialogo su gli ambiti della pastorale giovanile, lunedì 3 maggio casa Nazareth con Valter, Brunetta, Simona, don Vincenzo
1. Nella educazione alla fede dei nostri giovani dovremmo ripeterci con le parole e soprattutto con la nostra vita che “è bello e conviene essere cristiani!” Soffermandomi sull’ambito della vita affettiva e della fragilità vorrei sottolineare che dobbiamo parlare più spesso in termini positi della proposta cristiana; ad esempio la castità va mostrata non tanto per ciò che non va fatto, ma evidenziando il valore di una scelta, della delicatezza e del vicendevole rispetto come un modo per valorizzare l’altro per accrescere e consolidare l’amore sia nel fidanzamento che nel matrimonio.
2. Mi pare come mamma di dover constatare che è lodevole il nostro sforzo di ripensare la pastorale giovanile ma specie per quanto riguarda l’educazione alla vita affettiva e all’amicizia e all’amore occorre anzitutto lavorare con le giovani famiglie perché è lì che può partire un approccio positivo a questi aspetti così delicati e decisivi della crescita umana. E’ troppo tardi per partire se non c’è stato prima qualcosa di costante in famiglia.
3. Certi temi li abbiamo toccati ma in fretta e senza continuità. L’educazione alla vita affettiva è uno dei punti che dovremmo continuamente avere presente. Dobbiamo partire con molto entusiasmo e soffro quando vedo intorno anche in comunità scetticismo e indifferenza. Cercando testimonianze per il piccolo sinodo, vedo che in giro ci sono delle cose belle. Dio sta facendo cose belle attorno a noi sia nei giovani che nelle famiglie. Pensiamo positivo. Anche tra noi non mancano segni di speranza. I nostri anniversari di nozze mi commuovono perché sono una bella testimonianza. Una idea di famiglia solo nucleare, convivenze, una cultura che non crede al per sempre vengono messe in crisi dal sorriso di due coniugi che con figli e nipoti celebrano le nozze d’oro. Anche a scuola la famiglia non esiste e la parrocchia può dare ai giovani esempi belli di amore per tutta la vita.
4. Formare ala affettività? Come? Un aspetto importante è l’amicizia tra ragazzi e ragazze . quella che a volte si crea tra compagni di scuola è splendida e aiuta ad avvicinarsi nella gratuità , nella spontaneità e nel servizio scambievole. La pastorale giovanile anche con le settimane di convivenza potrebbe favorirla. Servono gli esempi più che le parole. Se c’è integrazione tra parrocchia e scuola i giovani sentono un clima più aperto e si avvicinano più volentieri anche alla parrocchia.
La conversazione si è conclusa indicando alcuni nomi per partecipare ai laboratori del 29 maggio pomeriggio. Prossimo appuntamento. Lunedì 10 maggio sempre a casa nazareth.
1. Ieri al convegno Caritas padre Ottavio ci ha fatto pregare sui giovani e il servizio, sulla stretta relazione che esiste tra educare i giovani e educazione al servizio, non ordinando al giovane ma ama gli uomini con Cristo: così il giovane si sente più stimolato ad agire. Oltre la scuola si sta verificando una disabitudine a lavorare in prima persona, a fare sacrifici e piccoli impegni così necessari all’educazione. Si può fare qualcosa per stimolare i giovani a prendersi in cura l’altro fattivamente anche passando la domenica in modo diverso.?Prendersi i nostri bimbi malati e seguirli assieme agli adulti?
2. tra i giovani manca una lettura popolare della Bibbia che ne mostri la bellezza e l’attualità. Sarebbe bello vedere giovani con la bibbia in mano.
3.Le nostre impressioni vanno verificate con i giovani e le offriamo in spirito di amicizia e convinti di non capire sempre le loro esigenze. Scorrendo le domande c’era una questione che bisogna discutere con i ragazzi. Progettare la vita in tempi lunghi è difficile con la precarietà asfissiante. Spostamenti fisici, geografici, lontananza dal luogo di appartenenza . Vorrei dire ai miei amici giovani: abbiate capacità progettuali in una situazione di precarietà , non vivendo alla giornata e con una prospettiva di qualcosa di grande, trovando motivazioni forti circa lo studio, non tirando al basso, non vivendo solo per l’oggi… questo lo sento molto nei miei figli ma sto cercando in positivo come proporlo loro….
4. Anche la difficoltà a non farsi omologare a non accettare un appiattimento sulla cultura dominante sarebbe un tema da toccare nel piccolo sinodo.
Mi chiedo anche: È possibile coniugare la progettazione della vita a tempi lunghi con poca disponibilità di denaro… come rispondono i giovani fronte a queste affermazione dei genitori? Devo però riconoscere che nei più volenterosi c’è l’impegno ma manca il disinteresse e la gratuità… cosa me ne viene… cosa tiro fuori di buono . Dovremmo anche pensare come aiutarci e aiutarli a collegare le parole di Gesù, come riuscire a parlare di fede quando poi usciti di chiesa la realtà sembra un’altra. Ma non dimentichiamo che rischiamo di parlare di un vestito di cui non conosciamo la taglia perché i giovani ci sorprendono sempre…
5. Spesso penso ai giovani con una prima immagine negativa, quasi fossero senza sogni poi invece io ho sperimentato che i giovani quando incontrano qualcosa di pulito,il loro cuore è toccato con molta generosità ,si fanno coinvolgere. Lavorerei molto sulla scuola: incontri dibattiti, gli insegnanti e il mondo giovanile. vorrei riuscite a trovare le parole che toccano il cuore . io ci voglio credere però trovare parole è difficile perché abbiamo un altro vocabolario. Non ho la chiave: punterei molto sulla scuola, sulla voglia di crescere di dare il meglio di se tInvestire sulla credibilità sul significativo per loro.
6. I giovani e lo sport. Importante trovare figure come velasco o le grottaglie che sanno coniugare fede in Cristo e sport……
Sul punto 6, ho sentito l’amico Maurizio che è vicino al mondo della pallavolo. Velasco attualmente è allenatore della nazionale spagnola, comunque cercherà consigli da Paolo Tofoli su figure di alto livello che possono, anche se non ora, essere buoni testimoni.
Cari tutti
Provo ad offrire, con queste note, un mio contributo al lavoro del piccolo sinodo che poi cercherò di trasformare, insieme ad altre riflessioni che mi verranno in mente nei prossimi giorni, nel breve intervento previsto per il sabato 29 maggio dedicato al confronto.
Il punto dedicato alla tradizione e alla cittadinanza mi da possibilità di riportare alcune indicazioni che riguardano essenzialmente la parte relativa al lavoro da fare all’interno della chiesa e cioè al lavorio da fare su noi stessi: adulti cristiani “della prima ora”.
La questione giovanile infatti ci interpella perché i giovani assumono su di sé le caratteristiche di un mondo che ci è talmente cambiato davanti lasciandoci interdetti di fronte alla inefficacia di una testimonianza, la nostra, che pensavamo invece potesse “muovere i monti”.
L’insegnamento che ci viene dai profeti che stiamo leggendo in comunità il venerdì, e che cercavo di dire venerdì scorso prima di venire interrotto, sta nella capacità di saper distinguere i ruoli per cui se sei profeta fai fatica anche ad essere padre e guida, se vuoi essere uomo di rottura fai poi fatica a gestire i discepoli che poi finiscono per essere più attaccati a te che al Signore.
Io credo che oggi sia necessario avere presenti tutti i ruoli purchè poi ciascuno identifichi con chiarezza il proprio e se ne assuma le conseguenze visto che fare il profeta può sembrare bello e affascinante, ma il costo da pagare della solitudine e della incapacità di incidere va messo in conto senza poi lamentarsi.
Il credo altresì che oggi sia necessario avere vicine anche delle figure di Padri che, a differenza dei profeti, preferiscono mettersi dietro il popolo e non davanti; preferiscono lasciare libertà alle capacità creative di ciascuno e non predefinire percorsi su cui poi chiedere disponibilità ad altri di assumersi responsabilità.
Servono padri e guide spirituali su cui costruire luoghi di fraternità che siano spazi in cui esprimere al propria voglia di ascolto senza l’ansia del risultato, ma con la voglia di non fermarsi mai.
A noi questo manca.
Oggi, a fronte di una situazione sociale che tende a mettere ai margini la fede dobbiamo rilanciare un percorso di novità cristiana senza doverci difendere da nulla.
Lancio allora alcune sollecitazioni che nascono da me sia pur tenendo conto della tante cose che in questi giorni mi capita di leggere sulla trasmissione della fede:
? innanzitutto è necessario accogliere l’indifferenza verso l’annuncio come un appello alla testimonianza; come una chiamata a raccontare ciò che avviene in noi quando incontriamo Cristo. Di fonte ad una prevalenza del linguaggio logico ed esplicativo occorre forse fare spazio alla dimensione affettiva della fede. A noi questo manca molto e lo vedo anche nelle nostre catechesi del venerdì che pure sono l’unico momento in cui ci potrebbe essere possibile farlo. La nostra formazione (tipicamente conciliare) manca di questo aspetto legato più alla voglia di starci vicino per aprirci ad una dimensione di mistero che va ben oltre la dimensione dell’impegno che a volte sembra invece prevalere fino a che ce ne stanchiamo per cadere nell’eccesso opposto che è la stanchezza;
? dobbiamo poi praticare dialoghi veri che non consistono solo nel trasmettere agli altri ciò che altrimenti ignorerebbero, ma nella costruzione di una fiducia reciproca. Il tentativo delle tribù stava proprio in questo: ricostruiamo legami in un ascolto attento e paritario dove l’unica cosa che si eleva è la scrittura invocata attraverso lo Spirito. Anche questo a noi manca molto visto che poco tempo è orientato a “perdere tempo” tra noi e con gli altri per questo. Forse l’indifferenza religiosa ci apre a questa prospettiva per noi molto faticosa;
? dobbiamo poi coltivare uno stile di vita cristiano; un modo efficace di manifestare quella relazione che unisce la fede proposta con i comportamenti vissuti. Uno stile di vita che esige un confronto esplicito con la Parola di Dio. Qui i testi di Enzo Bianchi ci aiutano molto, ma la strada è quella di rendere ragione spirituale alle nostre scelte di vita rendendole pubbliche ai fratelli prima di tutto, ma ai lontani subito dopo. Perché dovrei essere cristiano se nulla cambia negli atteggiamenti di chi lo è rispetto a quelli degli altri? Casa Nazareth poteva aiutarci in questa prospettiva di condivisione di stili di vita alla maniera monastica aggiornata al XXI secolo;
? dobbiamo accordare un posto particolare alla preghiera. Tutti d’accordo OK, ma come rendere compatibili i tempi di ciascuno con quelli di una preghiera comunitaria? Su questo abbiano fatti delle scelte, ma ciascuno per sé ed è per questo che a volte non sembra che alla preghiera si sia dato il ruolo adeguato. Così non è, ma nessuno sa nulla dell’altro e quindi sembra che non ci sia nulla. l’indifferenza religiosa dei nostri giovani (ma non solo) forse ci può aprire ad un confronto più forte sulla vita di preghiera che ciascuno di noi porta avanti;
? volevo accennare alla dimensione di fraternità che mi sembra un ulteriore elemento su cui confrontarci assieme. Vincenzo nel parla da un po’ di tempo (non da sempre in realtà) e diventa difficile aggiungere qualcosa in termini di “cose da fare”. Mi sembra però una indicazione fortissima che ci viene dalla scrittura e si tratta di una sfida enorme che i lontani dalla fede ci lanciano: vogliateci bene, vivete in pace, fate del bene, pregate e celebrate il Signore; il resto vi sarà dato in aggiunta (impegno sociale, politico, etico etc.).
Una ultima cosa riguarda la pratica della speranza. Si tratta di un aspetto della fede che mi è stato aperto da Daniele Garota nei suoi due incontri a cui ho assistito. Niente di nuovo, ma tutto di nuovo: la dimensione dell’attesa del ritorno (di cui oggi stesso domenica di ascensione le scritture ci hanno parlato) di Cristo è un aspetto di grande concretezza nella fede che professiamo e che siamo chiamati ad annunciare ai lontani e agli indifferenti i quali non a caso si avvicinano per vie tortuose a questi argomenti (al limite del “misterico”). Dobbiamo rivedere il presente alla luce della fine: che vuole dire? Tanto, ma occorre ascoltare assieme le scritture e non avere paura di approfondire assieme questo aspetto.
nino
Ieri sera il tema che abbiamo trattato nell’incontro del lunedì per definire le tracce del piccolo sinodo è stato il terzo punto intitolato: La tradizione e la cittadinanza
Dopo la lettura abbiamo constatato e ribadito la difficoltà anche nella nostra parrocchia nel mettere insieme vita e sensibilità civile (quando è presente) e vita e sensibilità religiosa (quando è presente). Una difficoltà che, come per gli altri due punti trattati in precedenza, non può non tenere conto del problema principale e che è uno dei motivi che hanno ispirato questa settimana dedicata ai giovani: ovvero la mancanza di figure di riferimento in un’età intorno ai trent’anni intorno alle quali graviti l’attività pastorale giovanile.
Rispetto al tema specifico di questo terzo punto io mi sono permesso di fare una sottolineatura alla luce delle recenti esperienze della Chiesa riminese, che tra l’altro sarà presente ai nostri incontri in maniera evidente con diverse persone.
Dal 2007 il Comune di Rimini ha deciso di adottare un metodo di studio riconosciuto a livello internazionale per ripensare le città del futuro, comunemente denominato: piano strategico comunale. Rimini sta pensando a come sarà la città nel 2027. Il piano strategico, per definizione richiede il coinvolgimento di tutta la città, in tutte le diverse forme, a livello personale che associativo.
La Chiesa locale guidata dal suo vescovo Francesco Lambiasi ha aderito in maniera precisa e puntuale a questa sollecitazione, tanto che è ha stato lo stesso vescovo a suggerire alle diverse realtà ecclesiali di farne un punto centrale del proprio lavoro, pretendendo anche che le diverse associazioni e gruppi di di persone attive nella chiesa si vedessero in più occasioni per definire quanto richiesto dal piano strategico. L’obbligo a questo tipo di esposizione pubblica che a portato a convegni e pubblicazioni, ha necessariamente comportato un coinvolgimento a cascata, non sempre facile, sui diversi livelli fino ad arrivare agli stessi gruppi giovanili.
Così mi è stata raccontata: è probabile che mi sia stata venduta bene. Sta di fatto che anche agli occhi dei giovani che hanno bisogno di capire ruolo e senso di una Chiesa spesso arrancante rispetto al mondo civile, mi è sembrato un bel segno il fatto che la settimana scorsa il Consiglio Comunale di Rimini abbia approvato all’unanimità il progetto alla presenza del vescovo Lambiasi che è pure intervenuto in quella sede.
Lambiasi sta testimoniando una grandissima attenzione verso i giovani anche rispetto all’altro elemento del punto trattato questa sera: “la crisi della devozione”. Tenere in estate il sabato sera, il duomo aperto per i giovani, inserirsi con proprie iniziative nel “divertimentificio” della riviera, credo vadano in questo senso.
Io ho capito nel mio piccolo che l’aspetto sociale non può essere ridotto a quanto più semplicemente spesso definiamo nel settore della sacra e santa “carità”. La “carità” è fondamento sostanziale della nostra fede, ma non si può per questo non avere cura e attenzione in tutto ciò che serve a prevenire, per costruire un mondo migliore, vivibile, giusto e solidale (a priori). Come direbbe Tonino Bello: Samaritani dell’ora prima.
Caro walter e cari tutti
il piano strategico cittadino è una modalità di costruzione di legami forti tra differenti componenti cittadine finalizzata ad individuare le priorità di benessere di un determinato territorio in termini glbali.
questa modalità, che tu rilanci, è già stata sperimentata nei nostri territori a fronte di una sostanziale indifferenza nostra e del mondo cattolico in generale.
Il comune di Pesaro realizzò l’Urban Center alcuni anni fa attraverso il quale costruì un piani strageco quinquennale per la città attraverso un lavoro di coinvolgimientio durato più di un anno.
Gli stessi piani di zona degli ambiti sociali hanno questa connotazione strategica per un territorio più ampio rispetto al comune su cui però la chiesa locale (e noi stessi) ha fatto fatica a coinvolgersi.
Solo ora sta avvenendo, a livello regionale e in tutte le diocesi, un faticoso, ma interessante confronto sul tema degli oratori (a cui noi, ad esempio, non abbiamo preso parte).
Le possibilità quindi ci sono anche da noi, il problema è che quando si tratta di costruire piani strategici bisogna mettersi nella prospettiva di mettersi assieme a lavorare con tutte le fatiche del caso perchè le persone sono diverse tra loro e le sintesi sono difficili perchè ognuno vuole avere la prevalenza sugli altri (anche tra parrocchie).
In questo senso il Sinodo parrocchiale sui giovani non può che essere un piccolo punto di partenza per contribuire alla creazione di una ambiente partecipato che deve rivolgersi alla città… ma con tempi ben più lunghi e investimenti tecnici, culturali e professionali molto allargati e soprattutto … molto pazienti.
facciamo bene a importare esperienze da fuori, ma, credi, noi ci siamo già da un pezzo su questa linea.. è che non ce ne accorgiamo finchè non interviene qualcuno di cui abbiamo fiducia, generalmente lontano dal nostro territorio, a raccontarci che si tratta di una cosa bella.
Speriamo che il sinoco recuoperi una partecipazione che non può soloessere un evento, ma una grande strategia di coinvolgimnento.
nino
Non è facile ai tempi d’oggi riuscire ad entusiasmare un giovane e a coinvolgerlo in una vera vita cristiana. Forse la presenza di una figura giovane con un forte carisma può aiutare. Una figura che noi concepiamo come un fratello maggiore sull’esempio della nostra comunità capi dove il più anziano guida con la sua esperienza la nuova leva.
Un fratello che sia capace, grazie al suo entusiasmo, a trasmettere le esperienze che ha fatto,ma soprattutto ad entusiasmare verso quelle che sono ancora da fare.
Si tratta in realtà diun cammino di squadra , di gruppo, formato da diverse fasce d’età, dove ci si arricchisce reciprocamente e i valori spirituali sono vissuti in base alla età dei componenti.
I più grandi dovrebbero riuscire a trasmettere i messaggi, con un linguaggio giovane, comprendendo il mondo dei giovani, i loro pensieri e la loro sensibilità
Kaa, Baghera,Akela, Moo Simo Elisa Andrea
Carissimo Nino, capisco di aver toccato un tema che ti sta molto a cuore e di cui hai molta esperienza. Volevo solo sottolineare l’importanza del ruolo della Chiesa quando esce dalle sacrestie… Avrei altre cose da dire sul piano strategico riminese ma andrei sicuramente fuori dal tema del sinodo. Rispetto all’ultimo punto ti do una conferma arrivata non più di mezz’ora fa. Mi ha chiamato don Giampiero, parroco di san Frumenzio (la parrocchia di Marco Guzzi), che sarà con noi venerdì 28. Ha detto di aver accettato l’invito innanzitutto come grande senso di gratitudine perché quando vennero a visitare Casa Nazareth, per loro ha rappresentato un importante punto di svolta. Come vedi di “trecce” la speranza ne tesse parecchie
Sta a noi saperle cogliere…
Da una vita ormai sono impegnata nella catechesi.In particolare ho seguito, insieme ad altre sorelle e fratelli il gruppo dei ragazzi che quest’anno daranno l’esame di maturità. Li ho seguiti e sono cresciuta con loro fino a circa tre anni fa, quando ho lasciato per un certo senso di inadeguatezza e per “conflitto di interessi”: di questo gruppo fa parte anche la mia figlia maggiore.
Continuo però, un po’ per l’età delle mie figlie, un po’ per amicizia con alcuni ragazzi, a seguire con interesse il loro cammino di fede.
Mi è capitato di recente di parlare con una di loro che, insoddisfatta del cammino parrocchiale, ha trovato risposta alle sue esigenze nel cammino neocatecumenale che, tra l’altro, conosco bene perchè ho anche i miei cognati e cinque loro figli che seguono lo stesso percorso.
Ho chiesto a questa ragazza cosa spinge oggi un giovane di 18-19 anni a scegliere di trascorrere due ore del sabato sera, celebrando l’eucarestia (nel cammino neocatecumenale la messa si celebra il sabato sera), che cosa ti dà il coraggio di andare in giro nelle domeniche dopo Pasqua ad avvicinare la gente per evangelizzare e portare il lieto annuncio.
Questa ragazza mi ha risposto più o meno così: “Mi hanno fatto conoscere e toccare da vicino Gesù e la Parola di Dio da “adulta”, mentre in parrocchia si ha quasi paura di farcelo fare, come se non ci si ritenesse abbastanza maturi per farlo”.
Allora mni chiedo: “Non sarà per caso che noi stiamo annacquando Cristo ai nostri ragazzi? Abbiamo tra noi dei giovani splendidi, assetati di autenticità. Non abbassiamo il livello, anzi, alziamo il tiro, parliamo loro con tutto l’amore che abbiamo per Gesù e per la Parola. I giovani, che amano volare e fare scelte coraggiose, se vedranno che ne vale la pena, seguiranno Gesù con la freschezza e la generosità di cui noi, forse, non siamo più capaci.
La mia formazione e la mia esperienza mi inducono a dire: formiamo educatori innamorati della Parola, che sappiano far trasparire il loro amore. Presentiamo ai giovani un Gesù autentico, senza sconti né annacquamenti.
I giovani non aspettano altro: Gesù è perfettamente in grado di parlare ai loro cuori, di affascinare i nostri ragazzi e di guidarli nelle loro scelte.
Betty
Condivido pienamente quanto scritto da Betty.
Per questo motivo ritengo che un momento come questo, che abbiamo chiamato un pò pomposamente Sinodo, debba essere vissuto da noi come un momento di grazia destinato a rivedere profondamente la nostra attuale identità e cammino di fede.
le giovani generazioni sono cresciute in un ambiente radicalmnente diverso, e anzi in alcui aspetti in contrasto, con la nostra generazione cresciuta con lo spirito del concilio.
Al di là di un dibattito che ritengo poco produttivo tra i fautori della continuità e i fautori della rottura dell’evento concilio rispetto al passato, mi pare che oggi la ricezione del concilio sia messa in discussione proprio dalle giovani generazioni che hanno appreso la voglia di Dio al di fuori dell’ambiente di coloro che come noi venivano da quella esperienza.
La generazione di Giovanni Paolo II ha delle caratteristiche di approccio alla fede molto differenti dalle nostre. esiste in queste generazioni una tendenziale rimozion dell’evento conciliare che sembra loro estraneo, lontano e non immediatamemte consono con la loro sensibilità (penso al’esempio riportatoi da betty).
Ad una generazione cresciuta con una impostazione disalogica, critica e logica si sta contrapponendo una generazione che, cresciuta in un contesto diverso, pretende invece posizioni nette e forti.
Dovremmo ragionare su questo e sul perchè i giovani crecano la fede lontano dalle parrocchie e lontano da noi.
Dobbiamo femarci a capire se esistono nuovi punti di connessione tra situazioni così differenti.Per questo motivo mi pare di dover isnistere sulla necessità di ripensare il senso della “differenza cristiana” in termini di nuove e più profonde relazioni tra noi adulti.
Riguardo al documento del Convegno ecclesiale di Verona, provo ad esprimere anche io un parere che sento molto urgente per la crescita dei nostri ragazzi, adulti di domani.
Oltre a condividere ciò che Betty ha esposto sul Gesù autentico, penso che noi adulti abbiamo anche il DOVERE di educare i giovani alla “cittadinanza” (vedi punto 3 del nostro documento di riferimento), direi di più, di educarli alla mondialità.
Molti di loro hanno già avuto esperienze all’estero (studio o lavoro), ma anche chi non lo ha già fatto, si è trovato il mondo in casa. Abbiamo a che fare con dinamiche e problematiche a livello globale (flussi migratori sempre più “invadenti”). Se non aiutiamo i nostri ragazzi a riflettere su questi aspetti che la vita di tutti i giorni ci pone di fronte in modo anche traumatico, a non capirne le dinamiche, rischiamo di dare loro informazioni sbagliate per “titoli” (come fa la televisione) arrivando a conclusioni superficiali e di comodo.
Mi piange il cuore quando sento in giro delle prese di posizione veramente non-umane.
Svolgendo da diversi anni un misero servizio a Casa Betania, mi sto sempre più rendendo conto che l’ignoranza potrebbe portarci a giudizi e decisioni veramente pericolose.
L’educazione alla cittadinanza, fatta anche dal pulpito, potrebbe esserci di aiuto nel capire che TUTTI gli uomini sono fratelli in Cristo.
Non possiamo porci il problema dell’immigrazione o dei “clandestini” (che orribile parola) in modo superficiale, senza sapere da dove viene e perché.
Ovviamente questo non vuol dire non educarci anche alla legalità.
Sono sicuro che anche su questo aspetto, oltre al dovere di cui parlavo sopra, i ragazzi siano molto più sensibili e ricettivi di quanto possiamo credere.
Non so bene come si potrebbe realizzare questo enunciato teorico, ma per esempio mi viene in mente che durante la Santa Eucarestia si potrebbe trovare spesso un aggancio con la realtà. Gesù con i suoi apostoli, seguaci ed uditori non ha mai nascosto l’esigenza di amare addirittura i propri nemici.
Un’altra proposta potrebbe essere quella di sponsorizzare esperienze che in diocesi si tengono; anche qui penso ad esempio al campo missionario che ormai da tantissimi anni si tiene in diocesi con splendidi ragazzi che per una settimana sotto il solleone, raccolgono stracci in giro per le parrocchie di tutta la diocesi, incontrando giovani, vecchi, adulti e bambini.
Penso anche che nella nostra parrocchia dovremmo fare di tutto per allargare lo sguardo al di fuori del nostro recinto. Con nostra figlia, che da qualche anno ha la fortuna di partecipare al campo missionario, diciamo e constatiamo in quell’ambito si ha un respiro molto più ampio, un orizzonte molto più allargato.
Penso anche ad una maggiore sponsorizzazione della Sala della Pace, magari organizzando visite, incontri, testimonianze.
Aiutiamo tutti.
Lucio
Mi pare molto bello quanto riporta Don Valentino Salvoldi nel retro del suo libro “Un corpo a corpo con Dio”, sulla preghiera.
Non è facile per un giovane scoprire la bellezza del rapporto con il Signore della Vita, ma una Comunità Parrocchiale adulta deve avere il coraggio di proporre alla nuova generazione una profonda relazione con Dio, anche se spesso è diffile, è proprio una lotta.
Lo riporto per intero:
“Ad un giovane che vuole imparare a pregare, non serve un lungo discorso, infarcito di teologia; serve piuttosto incontrare un volto trasformato dalla preghiera. In volto che la familiarità con Dio rende bello, perché abituato a leggere in chiave provvidenzile le gioie e i dolori di questa umanità. La preghiera infatti è contemporaneamente lotta e contemplazione. L’aspetto del combattimento pone in evidenza che, nella quotidiana fatica di vivere, dobbiamo essere perseveranti nella preghiera: la stanchezza e la sfiducia non devono prendere il sopravvento. Come la cerva urla al cielo la sua disperazione, così la nostra anima grida a Dio, con la certezza che quanto più è nera la notte, tanto più fulgida sarà l’aurora; quanto più difficile è stata la lotta, tanto più bella sarà la contemplazione faccia a faccia con il Signore della vita. Superata la notte, dopo aver lottato corpo a corpo con Dio, egli ci tenderà le braccia.