Prima Bozza di un progetto per realizzare l’Iniziazione cristiana dei fanciulli e dei ragazzi (ICFR) “secondo un’ispirazione catecumenale”
Con tale espressione si intende ricuperare e applicare all’IC dei fanciulli e ragazzi già battezzati alcuni elementi tipici dell’antico catecumenato. In modo particolare, per “ispirazione catecumenale” si intende un cammino d’ICFR:
- che non dà per scontata e presupposta la fede, ma si preoccupa di generarla;
- che sviluppa un’educazione globale alla vita cristiana, senza limitarsi al momento dell’istruzione religiosa. L’itinerario d’ispirazione catecumenale “deve essere inteso come un esercizio prolungato e completo di vita cristiana, che comprende non solo l’istruzione religiosa, ma anche esperienze di preghiera personale e comunitaria, gesti di testimonianza e opere di carità, cambiamento di mentalità e di abitudini: una vera scuola di formazione, al seguito di Gesù maestro”;
-che è scandito da tappe progressive di formazione e di celebrazione ed è segnato da diversi passaggi e verifiche. “Il calendario delle tappe dell’IC non può essere fissato a priori: ciascuna di esse deve corrispondere realmente al progresso nella fede del fanciullo e del gruppo, progresso che dipende dall’iniziativa divina, ma anche dalla libera risposta dei ragazzi, dalla loro vita comunitaria e dallo svolgimento della formazione catechistica”. L’ispirazione catecumenale esige, quindi, di liberarsi dall’idea delle scadenze fisse, uguali per tutti, e dei passaggi automatici;
-che ha un’intrinseca dimensione comunitaria ed ecclesiale, nel senso che si svolge nella comunità cristiana, con l’attiva partecipazione di tutti, in specie della famiglia, ed esige di offrire alcune esperienze di vita ecclesiale.
Il RICA, debitamente adattato alla situazione diversa e particolare dei fanciulli e dei ragazzi, e la Nota pastorale del Consiglio Episcopale Permanente della CEI, L’iniziazione cristiana 2. Orientamenti per l’iniziazione dei fanciulli e dei ragazzi dai 7 ai 14 anni del 1999 offrono l’itinerario da compiere. Tale itinerario deve tenere conto di tutto quanto sopra è stato detto in relazione alle tappe progressive di formazione di una fede adulta e di una testimonianza matura. Ne consegue pure che l’IC all’interno della Parrocchia dovrà esigere la presenza fondamentale del presbitero, dei genitori, dei catechisti come anche la collaborazione convinta di tutti gli altri educatori parrocchiali: animatori dell’oratorio, della liturgia, della Caritas, del gruppo missionario, della pastorale vocazionale, degli insegnanti di religione ecc. Non potrà altresì mancare la rivalutazione della figura del padrino, scelto in modo tale che la comunità gli possa affidare il compito d’essere, oltre che testimone, il coordinatore del cammino personale del ragazzo. Oppure in alcuni casi la comunità stessa potrà scegliere un padrino per il cammino di un ragazzo, come anche preparare famiglie cristiane disposte ad “adottare spiritualmente” i ragazzi che non hanno alle spalle una famiglia cristiana.
Alcune indicazioni di base per ICFR
1. Progettare itinerari di ICFR diversificati e personalizzati
“ ogni catechista sperimenta oggi quanto grande sia la diversità, sul piano della fede e del vissuto concreto dell’ambiente familiare e sociale, che ogni fanciullo e ragazzo porta con sé”. “Da qui la necessità di avviare itinerari di fede sistematici e differenziati, non accontentandosi di incontri occasionali o di massa”.
- Ciò significa offrire un servizio evangelico adatto, più efficace e più rispettoso della reale situazione dei ragazzi. Con questo spirito e con queste finalità tale cammino deve essere presentato ai genitori, ai ragazzi e all’intera comunità.
-Notevole importanza sarà data, comunque, “all’esperienza di gruppo, che assuma un vero carattere ecclesiale e investa la vita dei fanciulli e dei ragazzi sotto il profilo liturgico, caritativo, fraterno e festivo”. Pertanto può darsi che questo esiga la formazione di gruppi anche interparrocchiali o zonali, come pure la necessità di preparare operatori pastorali adatti e formati per i diversi cammini.
- Quanto a questi itinerari catechistici più personalizzati e definiti secondo una più diretta attenzione ai soggetti, non si dimentichi che “il catechismo della CEI deve restare il Libro della fede fondamentale per tutti gli itinerari”, pur essendo possibili e necessarie adeguate mediazioni
2. Attuare una catechesi in favore della mentalità di fede che superi il modello scolastico
Più volte si è ribadita la necessità di impostare una catechesi finalizzata a creare una mentalità di fede, che superi l’angusta finalizzazione alla ricezione dei sacramenti e alla semplice formazione dottrinale. “Una catechesi esclusivamente orientata ai sacramenti non può e non deve esaurire tutta la pastorale dell’iniziazione. Se così avviene, come frequentemente purtroppo si verifica, è inevitabile che la catechesi si riduca a intellettualismo e i sacramenti scadano a gesti di costume e di tradizione”. Al fine di creare questa mentalità di fede è determinante il clima cristiano che si respira in famiglia. Bisognerà, perciò, come più volte accennato, “valorizzare la catechesi familiare e aiutare [i genitori] a svolgerla in modo che essa preceda, accompagni e arricchisca ogni altra forma di catechesi”.
La Parrocchia dovrà, dunque, superare quelle prassi che hanno contribuito a svilire l’ICFR riducendola ad una continuazione dell’esperienza scolastica, ad un insegnamento puramente dottrinale, che apre l’accesso ai Sacramenti in base all’età scolastica dei fanciulli. Nel tentativo di superare l’impostazione scolastica bisognerà transitare da una catechesi per classi scolastiche a una catechesi per fasce di età o, ancor meglio, a una catechesi intergenerazionale, con la partecipazione degli stessi adulti e, soprattutto, della famiglia.
3. Abbandonare i “passaggi” automatici e rivedere i criteri d’ingresso alle varie tappe
“L’IC non può che essere un processo unitario, dal momento che ha come finalità quella di essere scuola globale di vita cristiana e condurre alla partecipazione e assimilazione al mistero pasquale: evento unico celebrato nei Sacramenti del Battesimo, Confermazione, Eucaristia. All’interno di questa unitarietà, il cammino di IC, secondo una sapiente pedagogia cristiana, è articolato in tappe, successive e graduali, ciascuna con una propria originalità e fisionomia spirituale, con proprie accentuazioni e segni”. Tra queste tappe, oltre a quelle dell’ammissione ai Sacramenti vanno annoverati anche altri momenti celebrativi, come l’accoglienza all’inizio del cammino, la traditio (consegna) della Bibbia, del Simbolo della fede, del Padre nostro, delle Beatitudini, ecc., che dovrà prevedere anche la redditio (riconsegna) al termine delle relative catechesi e dopo un periodo di esperienza.
E’ un errore partire dal presupposto che i ragazzi maturino tutti nello stesso tempo e che abbiano gli stessi ritmi di crescita e di comprensione. L’IC deve tenere conto della graduale maturazione del ragazzo più che del calendario o dell’età. Ne deriva, da un lato, l’esigenza di non ammettere tutti automaticamente ai vari passaggi e, dall’altro, di operare delle verifiche secondo criteri che non si basino solo sul momento dell’incontro catechistico ma tengano conto dell’effettiva crescita nella fede e nella testimonianza cristiana. A questo proposito “l’esercizio pastorale del discernimento, in vista dell’ammissione del candidato alla celebrazione sacramentale, è frutto della collaborazione dell’intera comunità: cioè del Vescovo, dei presbiteri, dei diaconi, [dei genitori], dei catechisti, dei padrini e di tutta la comunità locale, di ciascuno secondo il suo ordine e nel giusto modo”.
Schema di un itinerario di iniziazione cristiana ispirato al RICA
In estrema sintesi il progetto:
- <<Pre-catecumenato.>> ( i termini non sono corretti e presi a prestito dal RICA)
Una esperienza iniziale di vita parrocchiale con le famiglie dei ragazzi del biennio della scuola elementare sul tipo di un ‘pre-catecumenato’, un periodo cioè che aiuta con mezzi semplici e diretti, a dare uno sguardo agli anni del post battesimo ed insieme a far emergere le domande e gli interessi per scegliere come continuare un percorso di iniziazione cristiana. Un tempo per sperimentare il bisogno di salvezza che c’è nel cuore dell’uomo e per un primo annuncio di Gesù come risposta alle domande più vere del cuore
2. Il tempo del ‘catecumenato’.
Considerare un biennio o un triennio (i passaggi non sono automatici ma decisi da una riflessione serena di genitori e catechisti) come tempo forte del cammino catecumenale dei ragazzi e delle famiglie per concludersi con un appuntamento unico che può prevedere per necessità pastorali due tempi: alcuni anni lasciando la cresima nell’età attuale preparando la strada per riportarla nel suo alveo teologico naturale dopo il battesimo e prima della eucaristia.
Primo momento (nei primi tre anni dall’adozione di questo progetto)
- Al termine del percorso catecumenale :rinnovazione delle promesse del battesimo e con l’iniziazione alla Eucaristia e alla Riconciliazione , lasciando per il momento la cresima così com’è e chiedendo solo un ‘ingresso nella testimonianza‘ al termine del percorso del triennio. Questo percorso potrebbe terminare in quarta o proseguire anche in quinta elementare a seconda dei casi. Se i sacramenti della Confessione e Comunione si danno in quarta, la quinta sarebbe il tempo della mistagogia strettamente legata ai primi due. Potrebbe essere per gruppi omogenei ma non necessariamente. Un gruppo di genitori potrebbero decidere di rimanere nel pre-catecumenato anche se i loro figli fanno la terza elementare per le ragioni più diverse ( a prescindere dal fatto che diversi battezzati nei primi due anni non si vedono) per cui avremo nel percorso successivo ragazzi di terza, quarta e quinta assieme. I percorsi iniziano normalmente ogni anno ma non necessariamente. Nel percorso annuale si possono prevedere percorsi differenziati in base al diverso coinvolgimento della famiglia che si stabilisce fin dall’inizio.
b. arrivare a donare assieme i sacramenti della iniziazione cristiana in sintonia con i veri catecumeni cioè i ragazzi che non hanno ricevuto il battesimo e che saranno sempre più frequenti anche tra noi. Ma fin d’ora dobbiamo preparare percorsi coinvolgenti di mistagogia che non portino ad anticipoare l’abbandono dei percorsi di fede valorizzando anche esperienze come ACR e SCOUT.
- 2. Il tempo della ‘mistagogia’
Suggeriamo di proseguire ancora per alcuni anni a mantenere la cresima nell’età solita considerando come anni della mistagogia ( educazione alla vita liturgica, alla vita affettiva e morale e al coraggio di manifestarsi cristiani) quelli che seguono i sacramenti della iniziazione cristiana anche se carenti della Grazia della Confermazione e che potrebbe in un futuro prossimo essere conferita in date diverse a seconda dei percorsi educativi intrapresi ma per il momento, per rendere graduale il cambiamento, potrebbe in linea di massima restare all’inizio della scuola superiore . Anni della Mistagogia e della testimonianza ma anche dell’inserimento nella pastorale giovanile della Chiesa locale e della parrocchia . Inserimento che ora avviene in modo improvviso dopo la Cresima ed è una delle cause dell’abbandono.
Il primo tempo della iniziazione cristiana : il << Precatecumenato>>
Gli aspetti fondamentali del<< precatecumenato>> sono:
Accoglienza : vicinanza alle persone e alla loro vita
Evangelizzazione: primo annuncio di Gesù Risorto
Scelta e richiesta di fare il passaggio al <<catecumenato>>
1. Accoglienza:vicinanza alle persone e alla loro vita
Accoglienza come stile di amare
1. L’accoglienza delle giovani famiglie che potano i loro bimbi al <<pre catecumenato>> deve essere sincera e fraterna ,fatta di calore umano ,di attenzione alla vita e alla storia personale delle giovani famiglie, di ascolto e rispetto degli interrogativi di ogni coppia cui si vuole donare il primo annuncio della fede.
2.Il gesto dell’accoglienza nella comunità è particolarmente importante e da preparare con cura nel quale si presentano ai genitori i catechisti e colui colei che all’interno della equipe cura il primo annuncio ai genitori
Siamo chiamati ad essere una chiesa vicina alle famiglie, che sa camminare “con” e “accanto” ad esse sulle strade dell’oggi offrendo il vangelo di un Dio che si china sugli uomini, che ascolta le difficoltà, si inserisce nei loro cammini di ricerca, li anima con il suo Spirito, li chiama all’alleanza e a dire, in modo peculiare, alla relazione uomo-donna nella famiglia, i tratti del suo amore fedele e fecondo.
3.In una società come la nostra in cui sono accelerate tutte le azioni quotidiane, dove la frenesia frantuma le relazioni e genera anonimato e solitudine, diventa provocatoria e profetica la scelta di vivere “con” e “accanto” a chi vive prossimo a noi.
Vivere la “vicinanza” significa stare accanto alle persone, rispettare i loro ritmi e assecondarne i percorsi; ma significa anche abitare nello stesso luogo, borgo, quartiere, condominio e perciò conoscere i volti, le storie, le sofferenze, i bisogni di chi vi abita.
4.Vicinanza vuol dire allora uscire da se stessi, superare, o almeno, non lasciarsi troppo condizionare dai pregiudizi, incontrando le persone per condividere insieme le strade della vita. Vicinanza vuole infine indicare conoscenza e, ogni vera conoscenza, come dicono i francesi, è una con-naissance, la con-naissance di Paul Claudel, un “nascere insieme”, un mettere in gioco la propria esistenza con lo spirito del servire e del donarsi.
5.Complesse e diverse tra loro sono oggi le situazioni di coppia e familiari che tessono le trame della vita dei nostri quartieri, paesi e città. E’ necessario incontrarle, accoglierle ed ascoltarle.
Ma perché ciò accada è necessario che operiamo anzitutto in ognuno di noi e nelle istituzioni ecclesiali, quella che Husserl chiamava la sospensione del giudizio, ovvero esercitare la capacità di fare spazio dentro di noi, di superare i nostri preconcetti affinché il vissuto concreto di chi incontriamo possa trovare accoglienza.
In questa prospettiva è già inscritto un progetto insieme formativo e pastorale per intere comunità cristiane: educarci all’accoglienza e alla fraternità.
Accoglienza come accompagnamento
1.la scelta di accogliere genera un accompagnamento spirituale delle giovani famiglie che accompagnano il loro bambini per una prima esperienza di iniziazione alla fede. Un catechista del precatecumenato dovrebbe seguire più da vicino le famiglie, accoglierle quando accompagnano i bambini, far sentire loro amicizia e rispetto e chiedere a quelli che lo desiderano, di coinvolgersi per portare il loro contributo nella programmazione dei percorsi del precatecumenato. Ogni comunità può scegliere i gesti e i segni della accoglienza partendo dai carismi e dalle situazioni vitali di ogni esperienza di chiesa.
Una lettera del sacerdote, una festa d’inizio, un coinvolgimento dei padrini del battesimo, una attenzione ai nonni che spessissimo sono i baby sitter dei bambini in età scolare, la celebrazione comune dei compleanni e soprattutto la festa degli anniversari del battesimo possono esser alcuni segni iniziali.
Tutte le dinamiche relative al gioco educativo possono essere preziose in questo contesto. Ogni iniziativa che permette di conoscersi e stimarsi tra giovani famiglie è sicuramente opportuna.
Evangelizzazione: primo annuncio di Gesù Risorto
Cos’è il <<primo annuncio>>?
Tutti noi battezzati siamo chiamati a trasmettere la nostra fede a chi incontriamo:
dovrebbe essere una cosa spontanea! Quando facciamo esperienza di qualcosa di bello è normalissimo raccontarlo agli altri ed invitarli a condividerla con noi. Se si tratta di una esperienza di fede allora facciamo primo annuncio!!!
Il primo annuncio, come dicono le parole, è la prima volta che si parla di Gesù a qualcuno. Il primo annuncio è un percorso di avvicinamento alla fede: fa nascere domande e propone la persona di Gesù come risposta. È una proposta che mette in condizione di decidersi e di accogliere il dono della fede. Fa nascere una fiducia radicale in Gesù morto e risorto. Spesso ci si chiede a chi rivolgere il primo annuncio e soprattutto quando è il momento migliore per annunciare!
Non bisogna andare lontano, ma ci si rivolge ai vicini. Non bisogna aspettare, ma si va incontro agli altri visitandoli nei loro luoghi di ritrovo. Non si inizia con gli sconosciuti, ma si annuncia prima a quelli che ti conoscono: ci si rivolge “alle pecore perdute”, a chi è più difficile da convertire, a chi conosce la religione ma ha già deciso di non praticarla. L’annuncio non sempre è gratificante, non sempre è facile.
Quante volte anche noi siamo derisi e messi da parte quando testimoniamo la nostra fede!!! Allora, come riuscire a superare i momenti di difficoltà?
La comunità svolge un ruolo fondamentale nel primo annuncio: sostiene, consiglia e aiuta.
Fondamentale nel primo annuncio, insieme al sostegno della comunità, è la presenza dello Spirito Santo.
Il modo più semplice ed efficace per diffondere la fede è, per i cristiani, la testimonianza della propria vita vissuta conformemente al vangelo.
E’ importante annunciare attraverso l’esempio della propria vita; chi annuncia, quindi, deve avere un certo stile. Quale, dunque, lo stile dell’annuncio? Lo stile è quello dell’amore, l’amore nei confronti di colui a cui si annuncia, l’amore che aiuta superare le difficoltà. Solo l’atteggiamento di amore disinteressato sostiene chi annuncia a non vantarsi delle proprie opere, ma spinge a farsi piccoli lasciando spazio alla potenza di Dio di operare. La più grande tentazione di chi annuncia è quella di far prevalere i propri interessi e la propria volontà sull’opera di Dio. Solo l’amore disinteressato permette di porre Dio al primo posto consentendogli di operare la conversione dei cuori. Due sono, dunque, le parole chiave dell’annuncio: AMORE e UMILTA’
In estrema sintesi
cos’è il primo annuncio per i bambini e le famiglie del precatecumenato?
Il primo annuncio è quello su Gesù e la centralità della sua persona nella fede cristiana. Senza girarci attorno. Si articola in questi punti:
-Gesù morto per amore e ora vivo, risorto
- Gesù compimento delle promesse di Dio
- Gesù risposta ai bisogni di salvezza della persona umana
La chiesa, la comunità cristiana non è il tema del primo annuncio ma il contesto vitale in cui il primo annuncio può accadere. Ti racconto perché ho incontrato e vivo in una famiglia dove se volete potete fare la stessa esperienza.
Cosa si richiede ai <<catechisti>> del precatecumenato per il primo annuncio?
Dai catechisti del precatecumenato si esige la capacità narrativa di parlare di Gesù e di invitare a convertirsi a Lui e di rendersi capaci insieme di condivisione con le persone e di giudizio sulla realtà della vita per far emergere nelle persone il bisogno di salvezza.
Occorre chiedere ai catechisti anche alcune attenzioni nel linguaggio religioso che usano con genitori e bambini
-usare sempre un linguaggio che metta al centro Gesù risorto. Es: non dire preghiamo ma pensiamo con amore a Gesù e così via…
-mettere sempre Gesù vivo, risorto, davanti agli occhi e al cuore dei fanciulli e delle loro famiglie. Ogni volta che si accenna a Gesù sottolineare che lui è in mezzo a noi
-E’ ovvio che questo impegna tutta la comunità e quanti in essa hanno doni e carismi per questo invitandoli a collaborare con i catechisti dei ragazzi dei quali uno della èquipe potrebbe curare in modo speciale le relazioni con le famiglie.
Nel precatecumenato chi sono i destinatari del primo annuncio?
Nel precatecumenato della iniziazione cristiana dei ragazzi, i bambini e le famiglie che incontrano per la prima volta la parrocchia dopo il battesimo, sono i destinatari naturali del primo annuncio per il quale è impegnata tutta la fraternità parrocchiale. Accanto a loro coinvolgere i nonni in alcune occasioni, i padrini del battesimo specie in alcune celebrazioni, famiglie di amici specie nei momenti di festa assieme.
Come portare avanti il primo annuncio ai fanciulli nell’arco di due o tre anni del pre catecumenato?
a. Serve una équipe di catechisti che si ‘specializzano’ per questo servizio di accogliere i ragazzi 6-9 dopo il battesimo. Sarebbe bene che alcuni catechisti rimanessero per diversi anni in questo ministero rinunciando alla continuità didattica che sa molto di scuola. Soprattutto perché l’arrivo sempre di nuovi catechisti in prima elementare impedirebbe una continuità del progetto educativo. Serve l’aiuto di tutta la fraternità missionaria parrocchiale per incoraggiare quelli che ci sono e per sostenerli specie nei primi anni del percorso educativo.
b. Uno dei catechisti o qualcuno che a loro si affianca collaborando strettamente con loro, dovrebbe avere un rapporto prevalentemente con i genitori dei ragazzi dal momento che alcune famiglie si avvicinano alla comunità cristiana dopo il battesimo che in molti casi è stato donato in modo impreciso e superficiale da parte della comunità. Si tratta di creare legami semplici e diretti che consentiranno in due o tre anni alle famiglie dei ragazzi di capire cosa significhi iniziazione cristiana e pensare delle scelte più motivate per il triennio di vera e propria preparazione ai sacramenti.
c. In concreto occorre un cambio di mentalità dei catechisti del biennio che si liberano dalla ‘mentalità scolastica ‘e decidono di lavorare insieme per un primo annuncio della fede ai ragazzi e alle famiglie ed un primo inserimento nella comunità parrocchiale. Certo servirà un appuntamento costante in parrocchia (settimanale o quindicinale) ma che è solo un momento del cammino formativo dove si ritrovano ragazzi di prima elementare, ragazzi di seconda ed eventualmente di terza che non hanno partecipato negli anni precedenti o desiderano prolungare il ‘precatecumenato’.
d.Il numero dei ragazzi di questo primo percorso può essere grande ma poi occasionalmente per scopi didattici potranno lavorare in piccoli gruppi ma senza far prevalere l’idea di classe. L’itinerario educativo sarà semplice ed essenziale ma vivo partecipato e coinvolgente e dipenderà dalle capacità , interessi e carismi dei catechisti . Quel che è essenziale è che non si tratta di una piccola scuola settimanale ma di una esperienza di vita accanto ai ragazzi e alle famiglie che, assieme a momenti di un vero insegnamento, vede momenti di preghiera, di amicizia, di sostegno specie ai bimbi malati e in difficoltà e di accoglienza.
e. Gli obbiettivi pastorali
-fare sentire accolti e amati tutti i bambini nella parrocchia con una attenzione delicata alla loro vita familiare. Non possiamo educare alla fede un bimbo di 6-7 anni senza neppure conoscere il suo contesto familiare. Il catechista responsabile delle famiglie potrebbe prima, assieme ai ministri ordinati, scrivere a tutte le famiglie, parlarne in Chiesa e poi nella sala di fraternità a quelli che vengono a Messa, organizzare un momento fisso durante il quale avere la possibilità di parlare personalmente con alcuni, una festa d’inizio percorso genitori, potrebbe recarsi a casa di alcuni di loro se c’è qualche legame di vita ed approfittare ogni volta per salutare le mamme quando accompagnano i piccoli all’incontro . Potrebbe dare un appuntamento in parrocchia in un pomeriggio per un caffè insieme.
-I momenti con le famiglie e i bambini vanno pensati già nella bozza di programma iniziale per dare un senso unitario alle varie proposte : un incontro assieme ai bambini all’inizio del percorso per presentare tutto il cammino, una domenica mattina insieme per la presentazione alla comunità e la ri-consegna del nome e del ..”segno della croce” , una domenica pomeriggio di gioco e festa con l’oratorio dei piccoli, momenti di preghiera assieme ai bambini e la comunità in occasione soprattutto del tempo di Natale e dell’Epifania, momenti di festa vissuti con i genitori ad esempio una o due piccole gite che rimangano nella memoria dei ragazzi..
-specie nel primo anno del biennio portare ragazzi e genitori a ripensare, con linguaggio appropriato, il mistero del battesimo che li ha generati come cristiani, valorizzando i simboli e i ricordi , riprendendo quello che doveva essere la prima meta educativa degli anni 0-6: il senso religioso della vita . (Dio c’è, mi vede, mi vuol bene, quando muoio sarò con lui)
L’educazione al senso religioso non può essere presupposta ma va verificata e sarà un elemento decisivo per scegliere il catecumenato.
-come educazione spirituale il grande obbiettivo è far fare ai bambini le prime esperienze di preghiera in modo semplicissimo e profondo ad un tempo, imparando anche a memoria parole e segni della preghiera sui quali poi imperniare piccoli insegnamenti dottrinali.
f. Puntare sulla qualità della proposta: ogni volta i bambini e le famiglie vengono personalmente contattati per partecipare ai momenti esperienziali dove si alternano il racconto della scrittura , il gioco educativo, l’esperienza della preghiera, i gesti della carità e della festa assieme alle famiglie.
Non è dificile con i ragazzi di questa età creare un bel momento in parrocchia, una volta più didattico ed un’altra volta più celebrativo e gioioso , con il corollario dei momenti comuni già fissati con le famiglie , preparando in modo più adeguato i luoghi dell’incontro, facendogli sentire l’affetto della comunità cristiana, facendoli incontrare con altre realtà come ad esempio il diacono che incontreranno la domenica, i ministranti, il coro, bambini di altre parrocchie , compagni di scuola per fare oratorio assieme la domenica pomeriggio..
g. La domenica resta certo il punto focale di tutto il cammino ma non puntare alla messa domenicale come dovere primario dei bambini del biennio ed aiutarli piano piano ad una iniziazione alla Eucaristia. Quello che più conta è che i catechisti siano presenti la domenica un po’ prima dell’orario per accogliere le famiglie che vengono a Messa, accompagnare i bimbi alla liturgia separata preparandoli e spiegando loro la cosa , invitandoli poi a mettersi vicino ai genitori e non il gruppetto di prima e seconda che schiamazza davanti all’altare perché non sa ancora nuotare in quella piscina, fermandosi dopo la messa alcune volte in sala di fraternità per scambiare una parola con l’uno o l’altro dei genitori e ricordare le prossime tappe del percorso educativo. ( confronta diocesi di Torino)
h. Ma la messa della domenica potrebbe diventare in alcune occasioni il grande appuntamento catechistico valorizzando i doni dei bambini, seguendo il tempo liturgico( specie avvento natale Epifania) e il vangelo della domenica (quando ad esempio parla dei bambini), le circostanze della vita della parrocchia: un canto ed una danza fatta da loro, un segno della pace preparato con sapienza liturgica che li vede protagonisti, una preghiera dei fedeli fatta da uno di loro, un mettersi attorno all’altare quando tornano dalla liturgia della Parola con il Diacono dopo aver accuratamente preparato il segno, ecc ecc.
Come portare il primo annuncio alle famiglie che portano i figli in chiesa dopo il battesimo
Premesse
1. Abbiamo a che fare con adulti e non bambini!
Solo una sufficiente chiarezza del modo di essere degli adulti permette una scelta corretta della pedagogia da utilizzare, evitando di stabilire con gli adulti una relazione pedagogica più adatta ai fanciulli e ai ragazzi.
L’adulto ha l’esigenza di percepire l’utilità di quello che fa
L’adulto non ama perdere il suo tempo. Credere che l’adulto accetti di venire agli incontri solo per dovere o senso di responsabilità, è perdere il proprio tempo, se contemporaneamente non gli si propone un cammino che “gli serva” a qualcosa. Non c’è catechista che non annoveri, tra le proprie esperienze “poco gratificanti” questo dato di fatto: persone che hanno aderito con entusiasmo a una proposta fatta dalla parrocchia, dopo alcuni incontri mostrare minore interesse; così il gruppo si assottiglia e si trascina stancamente fino alla fine, per puro sforzo di volontà e senso del dovere.
L’utilità che l’adulto ricerca può essere di tipo immediato, come risposta ad un problema che sta vivendo, oppure di tipo generale. L’adulto non si sbaglia: “sente” se ciò che si sta facendo ha a che fare con il suo bisogno di vita, cioè gli è utile.
L’adulto apprende a partire dalla sua esperienza
Quando un adulto aderisce ad una qualsiasi proposta, tanto più se fatta dalla parrocchia, non vi arriva mai come “tabula rasa”.
Quando un adulto apprende, fa sempre riferimento alla propria esperienza. Ogni nuova conoscenza, ogni nuovo modo di essere e di fare che gli viene proposto, è necessariamente confrontato con l’esperienza che ha già. L’educazione e le esperienze positive o negative che ha avuto sul piano religioso si sono radicate in lui e costituiscono la base delle sue convinzioni, come pure di quel tessuto di simpatie, sensibilità, allergie e reticenze che lo caratterizzano.
Questa esperienza non è il semplice accumularsi delle diverse esperienze della vita. Essa crea e costituisce la visione che ciascuno ha della realtà. Costituisce il proprio universo mentale, la griglia di lettura per la realtà, le cose, le persone, Dio.
Per aiutare quindi un adulto a fare un progresso significativo bisogna far riferimento alla sua esperienza, riconoscerla e valorizzarla.
L’adulto è in grado di dirigersi da solo
L’adulto si distingue dall’adolescente proprio per la sua capacità di prendersi carico e di assumere le sue responsabilità e le sue scelte con consapevolezza. Per far questo deve poter dire la sua parola, in un continuo e sereno confronto, dove non c’è chi insegna e chi impara ma tutti sono compagni di viaggio o accompagnatori gli uni degli altri.
L’adulto deve sentirsi accolto e rispettato
Chiedete alla gente la prima idea che viene loro in mente quando pensano ad un incontro di adulti in parrocchia. Potete scommettere che immaginano una stanza, con delle sedie messe una dietro l’altra, con delle persone sedute e silenziose che aspettano che uno parli e spieghi.
La comunicazione è un atto complesso che si gioca certamente sul piano verbale, ma anche e soprattutto su un piano non verbale, che occupa lo spazio più consistente nel rapporto tra le persone.
Bisogna saper creare accoglienza e comunicazione con tutto ciò che è nella stanza: con le sedie, i tavoli, l’ordine, la pulizia, l’illuminazione ecc. e con l’atteggiamento e il comportamento delle persone che ospitano. Bisogna far in modo che tutti si sentano a loro agio fin dal primo momento, sentano di essere ascoltati, sentano di essere liberi di esprimere il loro pensiero, le loro esigenze, le loro preoccupazioni senza essere giudicati.
L’ascolto e la vera accoglienza significano anche un profondo rispetto per ogni opinione o scelta di vita. Ciò deve essere tenuto presente anche nelle richieste che possono essere fatte ai genitori, con superficialità o leggerezza. Esempio tipico può essere la preghiera all’inizio o alla fine dell’incontro, fatta talvolta per abitudine, ma che può essere di imbarazzo per alcuni genitori non abituati o non motivati a farla. Sarà necessario quindi rendersi sempre conto dell’opportunità delle proposte che si fanno, del momento giusto per farle e dello stile con il quale si fanno.
Naturalmente ciò implica una discreta conoscenza dei genitori che partecipano agli incontri. Certamente nei piccoli paesi questa conoscenza c’è e ciò facilita anche la comunicazione tra le persone. Nei paesi più grossi o in città, in cui le persone non si conoscono o si conoscono troppo poco, si dovrà prevedere un tempo più lungo e qualche occasione speciale perchè si crei un clima favorevole al dialogo e alla comunicazione.
IN SINTESI
ü Accogliere sempre e comunque (ascoltare, dare spazio a tutti, valorizzare gli interventi o i punti di vista di ognuno, senza giudicare e senza pretendere di avere “la verità” da sciorinare, ma favorire, senza timore, il confronto);
ü stimolare alla ricerca personale e rispettare i tempi di “maturazione” di ognuno;
ü aiutare a vedere il filo che srotoliamo insieme per formare un legame fra di noi e dare un senso a ciò che stiamo facendo (per esempio ricordando all’inizio di ogni incontro il punto al quale eravamo arrivati);
ü coinvolgere le persone che possono collaborare con le loro competenze o attitudini.
ü
2. È indispensabile imboccare la strada di una conversione “missionaria” delle nostre parrocchie:
non basta più limitarsi alla conservazione ed alla cura ordinaria delle comunità cristiane, “limitarsi a custodire il fuoco già acceso, ma accenderlo”.
Perché anche oggi, come duemila anni fa e come sempre, gli uomini e le donne si chiedono e cercano confusamente su chi e su che cosa sia possibile porre le proprie speranze. Tanti attenti osservatori parlano di un “riaffiorare della domanda del sacro” e di una ricerca del senso della vita.
La fede cristiana vuole rispondere con l’apostolo Paolo: chi si affida a Gesù Cristo non resta deluso.
- a chi tocca fare questo?
- come poterlo e saperlo fare?
È ovvio, alla prima domanda, rispondere che tocca alla Chiesa tutta e di conseguenza ad ogni cristiano
Ma questo comporta il passaggio da una comunità parrocchiale che “incarica” di questo compito alcuni volontari-catechisti insieme al parroco, ad una comunità in cui tutti, ad ogni età, sono consapevoli di essere in attesa di venire “ancora” evangelizzati e pronti a rendere conto della speranza che è in loro (cfr 1 Pt 3,15). L’annuncio deve necessariamente appoggiarsi sulla testimonianza della comunità ecclesiale: essa infatti parla con più efficacia per quello che esiste ed è vissuto più che con le parole.
Tutto questo comporta per le comunità parrocchiali un cammino permanente nella scoperta della Bibbia, della preghiera, della fraternità e dell’agire solidale, come attestano gli Atti degli Apostoli delle prime comunità cristiane (At 2,42 ss).
C’è una seconda domanda cui è meno facile rispondere: “come, annunciare Gesù?” Come suscitare l’interesse e l’attenzione, la curiosità, la meraviglia, il coinvolgimento delle persone che ascoltano?
Se guardiamo al modo usato da Gesù quando ha iniziato la sua predicazione, come anche dagli Apostoli dopo la sua ascensione al cielo, troviamo che il loro era un “lieto annuncio”, una “buona notizia”, una parola che faceva intravedere una risposta alla ricerca del cuore, che destava una speranza per la vita.
Occorre ritrovare questa strada ed alla gente di oggi che è quella che è, ognuno coi suoi problemi, inquietudini, domande, incertezze, ferite interiori e solitudini, far giungere la voce che c’è Qualcuno che ha una speranza per la vita, una risposta per il cuore, una uscita di sicurezza dalle situazioni in cui ci si dibatte.
Perché il vangelo è questo: una notizia che sorprende.
Dal catechismo dei fanciulli e dei ragazzi alle omelie domenicali, dal colloquio con i giovani agli incontri con le persone nei momenti importanti della vita accendere la scintilla dell’interesse e suscitare la domanda, far scattare il contatto.
Per rispondere alla domanda “come fare?” occorre innanzitutto riferirci sempre allo “stile” del primo evangelizzatore, il Signore Gesù e non anteporre nulla all’annuncio di Gesù Cristo, raccogliendo ogni occasione, situazione, interesse o problema per poter dire: “questa è la nostra fede”.
Come scandire nell’anno liturgico il primo annuncio ai ragazzi e genitori?
Le celebrazioni liturgiche nella iniziazione cristiana
La celebrazione liturgica non è il cerimoniale della Chiesa, ma il luogo dove lo Spirito di Dio plasma il cristiano, lo nutre, lo istruisce attraverso il linguaggio dei segni. Per questa ragione l’applicazione corretta del rito diventa importante. Non solo, ma nel caso specifico, e nell’attuale frangente storico costituisce un gesto dirompente che scuote dall’ordinaria amministrazione e che costringe tutta la comunità a porsi finalmente degli interrogativi di fronte ad una prassi che contrasta con le abitudini e che si dà per scontata. In primo luogo l’iniziazione cristiana dei fanciulli in età scolare, non solo dal punto di vista metodologico (come molti già fanno), ma anche dal punto di vista rituale esige il pieno coinvolgimento dei genitori (cf RICA 308, 314, 320). Occorre però che le consegne siano vere, frutto di una comunicazione efficace che permette di comprendere il simbolo e che dalla consegna scaturisca anche nel piccolo uno stile di vita che renda quel segno vero ed attuale evitando in ogni modo che si traduca in una fiction celebrativa e senza vita.
Testo di riferimento CEI << Io sono con voi.>> con uno sguardo al primo volume per i bambini 0-6 <<Lasciate che i bambini vengano a me>> specie per quanto riguarda il senso religioso della vita.
Meta di fondo delle celebrazioni e consegne nel precatecumenato
Riscoprirsi figli di Dio nel Battesimo visto come dono del Padre e che chiede una scelta personale attraverso una riscoperta e riappropriazione di ciò che da bambini si è ricevuto.
Arrivare a celebrare in famiglia e in comunità l’anniversario del battesimo: una festa più bella e diversa da quella del compleanno da pensare con leggerezza. Nel precatecumenato può essere educativo fare una celebrazione comunitaria dell’anniversario del battesimo da preparare e da vivere in modo esemplare .
Primo anno
- 1. festa dell’accoglienza dei bambini ( sett nov)
2 riconsegna del segno della croce (Natale -Battesimo di Gesù)
3. celebrazione battesimale con la nuova acqua (tempo pasquale)
secondo anno
1.prima consegna del Padre nostro (gennaio febbraio)
2. celebrazioni delle Promesse battesimali (pasqua)
Queste la traditio ma come vare la redditio, la verifica che qualcosa sta cambiando nella vita del ragazzo?
Scelta e richiesta di passare al catecumenato
Come articolare questo passaggio?
Come fare a non ammettere tutti i ragazzi automaticamente ai passaggi successivi?
Come fare delle verifiche su criteri che non si basino solo sulla frequenza agli incontri catechistici?
Come la famiglia può essere sollecitata a questo discernimento così da essere lei stessa a chiedere una ulteriore permanenza nel precatecumenato?
Come fare discernimento con le famiglie non praticanti ma che desiderano i sacramenti dei figli?
Quale può essere la presenza dei padrini del battesimo e di garanti scelti dalla famiglia stessa?
Come distinguere nella formazione dei bambini lungo il biennio o il triennio quelli che sono all’inizio del percorso e quelli che sono cresciuti lungo il cammino?
Quale il minimo indispensabile a livello di vita cristiana per i ragazzi che si iscrivono al catecumenato?
Quale il minimo da chiedere alle famiglie?
Come <<verificare>> se il senso religioso e il primo annuncio di Gesù è passato nel cuore dei bambini e famiglie?
Ciao Don Vincenzo,
ho letto due volte questa bozza, evidenziando ciò che mi sembra importante e soprattutto ciò che sembra impegnativo.
Certo, come dici tu è un forte cambio di mentalità che riguarda tutta la comunità. Al di là dei metodi i cui risultati non sempre sono alla nostra portata, il problema della catechesi, anche nella nostra comunità, è quello di un forte distacco tra questo fondamentale servizio che la Parrocchia fa, e il resto, come se fosse per addetti ai lavori.
La tua proposta invece, ripeto, riguarda tutti.
La parte impegnativa è secondo me il rapporto con i genitori, gli adulti.
Dalla tua proposta, sembra che i percorsi con i genitori e con i bambini o ragazzi siano due strade parallele che, almeno questo ho capito, non si incontrano.
Penso che il coinvolgimento dei genitori sia tale che il lavoro a casa, dopo gli incontri in comunità, prosegui e pertanto penso sia necessario aiutare le famiglie a comunicare tra i vari componenti, ciò che hanno ricevuto.
Sul fatto che gli adulti non amano perdere tempo, sono d’accordo, un po’ meno sul fatto che gli stessi sanno di cosa hanno bisogno. E’ vero, noi adulti, nelle nostre giornate ci scontriamo con vari problemi (famiglia, lavoro, denaro, dolori, società), ma non sempre abbiamo le idee chiare su come affrontarli senza lasciarsi dominare da questi; sono convinto che la Fraternità possa aiutare le famiglie, senz’altro in modo semplice e umile, dove non ci sono persone arrivate, ma tutte in cammino, senza verità in tasca, facendo capire loro che l’incontro con Gesù può aiutare ad affrontare le vicende umane, il Signore non ci toglie i problemi, ma ce li fa vedere con i Suoi occhi.
Spero di essere stato sufficientemente chiaro,
Ciao.
Davide