1. Beati i poveri in spirito perché di essi è il regno dei cieli
Beati gli sposi che sanno farsi poveri per amore, perché saranno liberi nel servizio vicendevole.La prima beatitudine svela subito il grande segreto per la vita delle giovani famiglie. Farsi poveri, piccoli significa non autosufficienti, non chiusi in se stessi, non avere pretesa di salvarsi da soli, non considerare nulla di ciò che si possiede come esclusivamente proprio, condividere generosamente quello che si è e quello che si ha, non essere attaccati al denaro e alle proprie consolidate abitudini.. Farsi piccoli, poveri per amore di fronte al partner, essere umili, porsi l’uno di fronte all’altra come mendicanti d’amore è il grande segreto per i primi anni di vita coniugale in cui si vive un rodaggio non facile. Il timore di perdere la propria vita, di annullarsi, di non avere anche di fronte alle famiglie di origine la propria personalità, tutto spinge a far prevalere l’orgoglio più che l’umiltà, a porsi non come piccoli e poveri ma come chi sa ben tutelare il proprio punto di vista. Farsi poveri per amore e solo per amore Gesù lo chiede ad ogni discepolo, ma l’umiltà come povertà è certamente anche un segreto della vita coniugale. L’umiltà vera è sempre unita alla fortezza interiore e ad una buona stima di sé.
Il povero in spirito sa custodire sempre l’autostima così che non ha bisogno di sopravalutarsi e di mettere a nudo con acidità i difetti del partner, né di deprimersi per attirare attenzione o sottolineare la propria sofferenza. L’umiltà è la virtù decisiva nei primi anni di matrimonio e genera coppie premurose nello stimarsi a vicenda a volte anche cercando con generosità occasioni per valorizzare il proprio coniuge, specie quando sembra di vedere solo limiti e difetti, considerando come propri i suoi successi nel lavoro o con gli amici. Senza stima alla lunga non ci può essere amore, ma senza umiltà non ci può essere una vera stima dell’altro. Oggi lo stile di vita in molti modi rende povera la vita di famiglia ma la buona notizia è che è possibile ormai prendersi cura facendoci poveri per amore. A chi diventa responsabile del proprio fratello ed è disposto a condividere concretamente tutto con lui, il Padre che è nei cieli si fa garante ,fin d’ora, della sua felicità. Una felicità discreta non rumorosa che non attira gli sguardi, eppure una felicità vera che rende possibile la maturazione delle persone come un lievito che fa fermentare la pasta.
La beatitudine promessa è la grande libertà per la giovane coppia nel servirsi e nel donarsi l’un l’altro, nel sentirsi a fianco e mai schiacciati l’uno dall’altro. E’ la gioia indicibile di chi si sente sufficientemente libero da sé stesso, dalle sue paure, dalle sue ferite, dalle sue cose e pur con tutta la fatica che farsi piccoli e umili comporta, la libertà che si conquista è straordinaria e la vita di coppia assomiglia più a una danza che a un duro lavoro.
Beati gli sposi che sanno vivere da poveri per amore, perché sperimenteranno la libertà dall’avere.
Come Francesco e Chiara di Assisi, beati quei giovani sposi che, all’inizio del terzo millennio, sanno unire una semplificazione grande della loro vita, un uso sobrio e moderato delle cose, uno stile di vita semplice che permetta di usare i beni della creazione senza abusarne o sprecarli, una giusta preoccupazione per l’ecologia e la salvaguardia del creato e una cura amorevole per i poveri, i lebbrosi e gli schiavi del nostro tempo, in comunione profonda come famiglia e, se credenti, con la comunità cristiana. Nella comunione il dono, anche piccolo, diventa di tutti.
Oggi per molte ragioni, anche a motivo di un precariato asfissiante, le giovani coppie tengono molto stretto quello che hanno o hanno ricevuto dalle loro famiglie e in genere la dimensione economica e patrimoniale è vissuta con affanno. C’è il timore di non riuscire a gestirsi, anche di fronte alle famiglie di origine che in genere hanno assicurato loro un certo benessere, c’è la paura che non basti quello che si ha e che persino la casa, in genere decorosa e accogliente, non sia sufficiente per un figlio che arriva. Davvero beate quelle giovani famiglie che sanno vivere da poveri per amore, capaci di non esasperare un momento di difficoltà economica, ma affrontandolo con serenità e come un modo, se credenti, per anticipare quello che saremo nei cieli nuovi e nella terra nuova, per essere vicini ai piccoli della terra, per ricuperare ciò che più conta nella vita a due, per ritrovare le sane abitudini di una vita sobria semplice ed essenziale e questo per amore e solo per amore. Giovani sposi come angeli, messaggeri leggeri, liberi e senza pesi, per testimoniare una gioia che è regalata a quanti scelgono volontariamente la beatitudine della povertà. Libertà dall’avere è sperimentare la gioia di una cena semplicissima per risparmiare per un figlio che ha bisogno di cure, rinunciare ad una costosa cena tra amici per invitarli a casa e con poco passare una serata davvero fraterna, liberi dall’affanno delle cose per avere più coraggio nell’impegno per la giustizia e la condivisione con i più poveri della terra. La libertà dal possesso è una difficile conquista quotidiana ma apre spazi di amore che la coppia non avrebbe mai immaginato di esserne capace . La gioia di scoprire come coppia il miracolo della contemplazione che permette di usare le cose senza accaparrarle per noi e senza sottrarle ad altri. Una maniera più profonda di possedere le cose, con l’anima e non solo con i sensi e il corpo. Gente che non ha niente e che possiede tutto. Certamente anche l’intimità ci guadagna amandosi intensamente senza possedersi poiché ci si è fatti poveri volontariamente e per amore. Una giovane coppia dove gli sposi sanno farsi piccoli-umili-poveri per amore, non può che essere mite ed avere come frutto la pace.
Essere poveri significa banalmente non essere ricchi. Cosa significa allora il suo contrario? Chi è ricco di spirito? Sul subito essere ricchi di spirito non sembra una cosa così negativa, ma Gesù lodando il suo contrario ci pone in una prospettiva nuova.
La fede non è passare da un meno ad un più, ma il suo contrario. L’uomo parte già come autosussistente e attraverso l’incontro con Dio deve perdere questa falsa illusione e così passare da un più ad un meno, dall’essere ricco di spirito all’essere povero di spirito.
Significa fare spazio a Dio, svuotando la propria vita di tutto ciò che abusivamente ne occupa il posto e ci ingolfa in una falsa felicità.
Per gli antichi il peccato è mancare il bersaglio, sbagliare la mira (traduzione letterare di hamartia = peccato): ogni volta che ci arricchiamo di uno spirito sbagliato manchiamo obiettivo e ci allontaniamo da Dio.