Omelia 24 marzo 2007
Gv 8,1-11 L’adultera
In questa domenica di passione leggiamo uno dei brani del vangelo più commentati, più conosciuti e amati. Per me è una prova evidente che Gesù è pienamente uomo e Dio! Quante volte abbiamo ripensato a quei gesti e a quelle parole di Gesù all’adultera. Non so se sapete che c’è un piccolo giallo su questo testo perché alcuni codici importanti non lo riportano e alcuni pensano che non sia di Giovanni ma di Luca , quasi una versione al femminile della parabola del Padre misericordioso della scorsa domenica. Addirittura si è scomodato il concilio di Trento per dire che dobbiamo considerarlo pienamente ispirato.
Io lo trovo in profonda sintonia anche con il Vangelo di Giovanni e con il luogo in cui è stato posto. Mi sono convinto che quell’adultera, quella donna. rappresenta tutti noi, la Chiesa. Noi siamo la sposa del Cristo ma una sposa sovente sorpresa in flagrante adulterio. Me ne sono convinto anche dal fatto che Gesù la chiama donna, con quella stessa dolcezza con cui all’inizio e alla fine del Vangelo di Giovanni ,che leggeremo il prossimo venerdì santo, Gesù chiama sua madre.
Certamente Maria è l’immagine perfetta e pulita della Chiesa come ci ricorda il Concilio, ma i profeti spesso parlano di una donna adultera e peccatrice per parlare del popolo di Dio. In modo particolare il profeta Ezechiele paragona il popolo di Dio a una donna . “Io ti ho preso, ti ho dato la mia fedeltà, il mio amore e tu mi hai tradito, sarei tentato di buttarti e di lapidarti” dice proprio così “ma ti riaccoglierò con immenso amore”.
Se la donna adultera è la Chiesa, chi sono gli scribi e farisei? Sono una parte di noi, una parte della Chiesa. È una dimensione di Chiesa che c’è dentro di noi.
Quei cristiani che pensano che non si possa conciliare legge e Vangelo, verità e carità, obbedienza ai comandamenti e infinita misericordia di Dio. Allora si pensa di declassare il peccato, di non chiamarlo con il suo nome o di renderlo di fatto irrilevante. Non si discute in via di principio ma di fatto peccato e misericordia non stanno insieme. Forse in buona fede o forse no. Per questo il Signore ha voluto prendere quella pausa di riflessione scrivendo col dito sulla pietra mentre gli altri puntano il dito e le pietre contro la donna. Anche nella chiesa di oggi è facile puntare il dito: possono essere i giovani verso i grandi, i preti verso i laici, i laici verso i preti, una Chiesa di base verso i pastori più alti; puntare il dito e dire “come la mettiamo, c’è questo peccato”.
Allora, o si rivela una Chiesa incapace di offrire soprattutto ai giovani una vita bella, nuova, fatta di scelte vere ed esigenti, o una Chiesa chiusa, arrogante, senza misericordia, senza amore, senza capacità di guardare negli occhi chi soffre ed è umiliato e non sa dire ” hai una dignità immensa, c’è una nuova strada, puoi ripartire!”. Quando lo sposo e la sposa, finalmente soli, possono parlarsi nell’intimità avviene il miracolo che lega per sempre insieme la miseria del peccato e l’infinita tenerezza del Misericordioso: “donna nessuno ti ha condannata, neppure io, vai e non peccare più”.
Notate bene: apparentemente quei scribi e farisei che sono dentro di noi vogliono mettere a nudo la povertà della Chiesa , ma il vangelo dice che in realtà vogliono far fuori Gesù.
Anche oggi spesso non gli interessa niente della Chiesa, della donna, gli interessa rendere irrilevante il Signore, metterlo in difficoltà “tu che ne dici maestro?”. Qualunque fosse stata la sua risposta era l’occasione per screditarlo nell’imminenza ormai della sua passione. Avrebbe dovuto o tradire la giustizia o tradire la misericordia. Questo è il divino del cristianesimo perché sa tenere insieme gli opposti, perché è paradossale: sa dire al peccato il suo nome e al peccatore sa riservargli un perdono immenso. L’ abbiamo visto domenica scorsa con il padre misericordioso di cui questo Vangelo, come dicevo all’inizio, è la continuazione al femminile, è lo stesso identico Vangelo, là era il figlio più piccolo, qui è la sposa. Un testo straordinario se però riusciamo a capirlo in profondità. Ritorniamo al racconto del vangelo.
Siamo al monte degli Ulivi. Domenica dal monte degli ulivi saliremo con le palme a Gerusalemme rievocando l’ingresso di Gesù. Molto probabilmente Gesù tra quegli ulivi ha passato la notte in preghiera e al mattino si siede nel tempio ad ammaestrare. Lì arriva la folla, la donna, lo strepito degli accusatori già con le pietre in mano come prescriveva una legge molto severa che considerava la rottura di un amore familiare (purtroppo solo da parte della donna, era una legge fondamentalmente maschilista), come una morte, soprattutto per i figli, come la ferita più grande e quindi una punizione inusitata, non sappiamo poi quanto realmente questa fosse applicata, ma non è questo il punto.
Fermiamoci un attimo a Gesù che scrive con il dito per terra, due volte, mentre questi lo tallonano. Mi ha colpito molto rileggendo ieri questo testo il fatto che scriva con il suo dito non sulla polvere ma sulla pietra perché erano nell’ingresso del tempio e lì c’erano i grandi lastroni. Quando Dio scrive con il dito ci dona la rivelazione, la sua parola. Dicevano i profeti che la Bibbia non è la parola di Dio scritta su tavole di pietra ma nella carne viva dei nostri cuori.
Se non guardiamo il dito di Gesù che scrive il vangelo, il suo amore, potremmo utilizzare la Bibbia anche come un sasso per uccidere a pietrate chi ha peccato.
Ma se guardiamo quel dito pieno di amore e di misericordia comprendiamo che il vangelo è salvezza. Il Vangelo non va annacquato, non va nascosto, i comandamenti non vanno ridotti. Per questo siamo tutti adulteri e cornifichiamo continuamente il Signore. Altrimenti saremmo tutti a posto, perché abbassiamo la soglia, come con la cannabis, come con la droga, abbassandola ci stiamo tutti dentro, siamo tutti a posto, non siamo più penalizzabili. I comandamenti rimangono ma se guardiamo quel dito che li scrive che è il dito pieno di amore di Gesù, sappiamo che sono per la gioia, per la libertà, per la salvezza! Questo è il divino del cristianesimo! Tenere insieme giustizia e misericordia, legge e Vangelo, una religione esigente e insieme una religione capace di misericordia e di perdono! Per questo senza alzarsi ma muovendo solo la testa dice: “chi di voi è senza peccato scagli per primo le pietra contro di lei”. Nella Chiesa è stato sempre un vezzo accusarsi reciprocamente, dividersi, pensare di essere dalla parte del giusto e puntare il dito contro l’altro. Il peccato non va nascosto, ma nel momento in cui viene riconosciuto va messo dentro l’infinita misericordia di Dio.
Un po’ mi vergogno al pensare che quando Gesù abbassa la testa, dai più vecchi ai più giovani se ne vanno e lasciano solo Gesù e la donna. Mi vergogno perché i più anziani in greco si dice “presbiteri” ed è il nome dei preti. Vuol dire che la misericordia deve essere di tutti noi , quale che sia il compito che nella Chiesa ognuno di noi ha. Nella Chiesa ciò che conta non è semplicemente la denuncia, essa è importante per riconoscere il peccato, ma è decisivo metterlo ai piedi di Cristo e portarlo su di noi.
Il peccato non si scarica contro qualcuno, come quelli che con le pietre volevano ammazzare quella donna, il peccato si prende su di sé. Allora la Chiesa, benché peccatrice, rimane santa, diventa unita e capace di essere missionaria. Forse non tutti mi capite ma il vangelo ha dei livelli di profondità dove non ci si arriva in cinque minuti.
Forse lo capite se vi fermate sull’ultimo punto. Ormai sono in una relazione di intimità lo sposo e la sposa. Gesù si alza, possono guardarsi con amore negli occhi. “Donna nessuno ti ha condannata” “Nessuno Signore”.
Avrete notato che non c’è nessun pentimento in quella donna, almeno a parole. Tutto è svolto nello sguardo, nella delicatezza, nel rispetto reciproco. “Neanche io ti condanno va e d’ora in poi non peccare più”.
Perché Lui dice “Neanch’ io ti condanno”? Perché Lui l’unico giusto, l’unico che avrebbe potuto prendere la pietra e tirarla, ha preferito assumerla su di sé, sarà Lui tra qualche giorno ad essere torturato umiliato e ucciso, non la donna, perché Lui è venuto a salvare ciò che era perduto, è venuto a prendere su di sé il peccato di ogni uomo, anche della sua Chiesa.
E chi vuol essere nella Chiesa come Gesù, quando ci accorgiamo per esempio dei peccati e delle fragilità dei nostri ragazzi dobbiamo riuscire ad assumerli su di noi e con passione educativa portarli davanti all’amore misericordioso di Dio. La Chiesa non deve nascondere il peccato né gli adulterii, ma li deve prendere su di sé dal momento che Lui si è fatto peccato per noi.
Allora nella Chiesa non ci si divide, non ci si mette alla finestra, tra i puritani e i meno puritani, tra quelli che sono più adulteri o un po’ meno adulteri, ma considerarci tutti traditori del Signore e tutti santi, perché come dice la lettera agli Efesini che parla non a caso di matrimonio “lo sposo col lavacro dell’acqua e della parola ci nutre e ci fa crescere per renderci santi e immacolati al suo cospetto nell’amore”. Davvero l’analogia del matrimonio diventa l’analogia del mistero della Chiesa. Allora rimane tra noi il perdono reciproco, la comprensione, l’unità, l’aiuto scambievole. Allora è possibile tenere insieme legge e vangelo, giustizia e misericordia. E’ possibile non nascondere la esigente verità di Cristo, ma non trasformare la Chiesa in una banda di gente con il dito puntato incapace di capire il dolore e la sofferenza anche di chi ha peccato; di capire la miseria dell’uomo , soprattutto di ridare come Gesù ad ogni creatura una nuova dignità, una nuova partenza. Come dice il profeta “ecco faccio una cosa nuova”.
Il segreto lo conoscete, è stato già detto nella seconda lettura. Chiederci davvero quando discutiamo, che cosa ci preme. Se davvero noi consideriamo tutta una perdita di fronte alla sublimità della conoscenza di Cristo Gesù o vogliamo affermare le nostre idee, il politicamente corretto, ciò che in quel momento non sarebbe poi così accettevole. Chiediamoci se siamo disposti a lasciar perdere tutte queste cose e considerarle come spazzatura al fine di guadagnare Cristo e di essere trovati in Lui non con una nostra giustizia derivante dalla legge, quella scritta sulla pietra, ma con quella che deriva dalla fede in Cristo, dalla giustizia che deriva da Dio basata sulla fede.
Chi può capire capisca. Amen.