31 gennaio 2007

Vi supplico in nome di Dio…

Vi supplico in nome di Dio di far rivivere i ritmi quotidiani della preghiera del mattino e della sera senza i quali non può vivere una fraternità missionaria parrocchiale!

2 febbraio, Festa della presentazione del Signore celebrata dalle Chiese dell’Oriente e dell’Occidente. Prima tappa parrocchiale verso la terza assemblea dei cristiani d’Europa che ha come tema: “La luce di Cristo illumina tutti. Speranza di rinnovamento e di unità in Europa.”

ore 6,30 lectio, benedizione delle candele e processione , divina liturgia.
ore 19 Vespri solenni
ore 21 lettura biblica, recita di compieta con le candele benedette.

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Tratto da “La Compagnia delle voci” Liturgia delle ore e popolo di Dio nell’esperienza storica dell’Ecumene cristiana . Padre George Guiver della Comunione Anglicana, Community of the Resurrection.

1. La preghiera oggi.

Per quanto la Chiesa moderna affermi di credere nella preghiera, si comporta spesso come se non riuscisse ad abbandonarsi completamente a Dio. La parola «abbandonarsi» riassume l’immagine che Gesù richiama nel Vangelo, quella dello sposo e della sposa, della donazione totale che è necessaria alla loro unione. Noi tutti non riusciamo a lasciare che Dio sia al centro della nostra vita. Non riusciamo ad affidarci completamente al Signore, ad abbandonarci a Lui: ecco allora perché gli altri, non a torto, hanno l’impressione che la Chiesa sia un vascello sempre in movimento, ma vuoto di contenuto. Perché spesso ci rivolgiamo a Lui in preghiera senza alcuna idea di abbandono, nessuna intenzione di ripudiare il nostro volere per accettare il Suo; vogliamo essere nutriti e dissetati secondo le nostre esigenze. Meister Eckart, con una immagine più forte, dice che trattiamo Dio come se fosse una mucca. Andiamo in chiesa per mungerlo ed avete così il latte per farci il burro e il formaggio. E’ vero, è stato Dio stesso a invitarci a rivolgerci sempre a lui nelle necessità, e di fatto soddisfa le nostre richieste, ma è sempre scorretto sfruttare la generosità altrui affinché i nostri desideri siano esauditi, senza che vi sia una adeguata corrispondenza di amore che implichi la fiducia totale e l’abbandonarsi all’altro.
Sapere che Dio perdona sempre e che la sua generosità non pone condizioni ci rassicura. Ma forse non si riflette mai abbastanza su quel che comporta una relazione basata semplicemente sul «ricevere», sul prendere. E’ un comportamento immaturo che ci lascia incapaci di condividere con Colui che dona quegli aspetti profondi della relazione che realizzano solo quando due persone mature si fidano l’uno dell’altra e sono abituate a ritrovarsi sole insieme. La Chiesa come Corpo si intimidisce quando resta sola con Dio in quel rapporto diretto che chiamiamo preghiera e non si fida a riferirGli ciò che è veramente importante. La Chiesa ha perso gran parte di quella vivacità nel rapporto con Dio che contraddistingue il Vecchio e il Nuovo Testamento. Concede al Signore uno spazio troppo limitato affinché Egli possa permeare e turbare le sue decisioni. Spesso la Chiesa sembra un meccanismo con cui talvolta ci possiamo gingillare un po’. La preghiera è intesa allora come qualcosa in più che serve a riempire qualche vuoto qua e là nei nostri orari. E’ sleale? Anche se lo è, non sono pochi i cristiani che la pensano così. Noi, la Chiesa, dobbiamo affrontare delle verità molto scomode riguardo alla nostra relazione con Dio, quando ci imbarchiamo nell’impresa di un rinnovamento liturgico.
Così come ogni individuo si deve arrendere a Dio, esiste anche il corollario per cui la comunità cristiana può abbandonarsi al Signore nella misura in cui i suoi membri si donano l’uno all’altro. Talvolta forse la nostra soglia di sopportazione è troppo bassa, nelle nostre parrocchie, come nella nostra società, vi è un aspetto troppo accentuato di errato individualismo. Se non ci impegniamo tutti insieme dimenticando noi stessi affinché Dio possa fare di noi una comunità aperta alla preghiera, è inutile continuare ad incoraggiare gli altri a pregare nel mondo di oggi. In un ambiente così ostile, la preghiera ha bisogno di un micro-clima adatto, come abbiamo potuto più volte constatare nella storia.
Si insiste con leggerezza sulla preghiera in sé, avulsa da ogni contesto, e l’esperienza che ne consegue può paragonarsi a quella di chi cerchi di accendere un fiammifero sott’acqua. La preghiera ha bisogno di aria respirabile, ha bisogno del Corpo di Cristo: «Senza di me non potete niente» (Giovanni 15,5).

2. Pregare significa appartenersi

«Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli … ma non avessi la carità, non sono nulla28». La competenza è solo cenere se non è al servizio dell’amore: non il facile, semplice amore romantico e retorico in cui ci gettiamo per sfuggire a tutto ciò che è arido e senza vita, ma quello insito nella realtà viva del mondo «così com’è»; l’amore che troviamo nel nostro prossimo, incompleto se non è rischiarato da quella luce più grande che è la verità di Dio. Non abbiamo altro compito se non quello di cercare la «realtà». Ora, di tutte le qualità di cui la realtà si riveste, la più grande, la più vera, è l’amore.
Ci dilettiamo nella ricerca di Dio. Ci riempiamo la bocca di cose che non riusciamo a fare. Giochiamo a mettere tutto nelle mani di Dio, assicurandoci però che «in realtà» le redini restino ben salde nelle nostre mani. Se ci aprissimo veramente a Lui, il nostro cuore sarebbe confuso: quel timore di cui il mondo moderno non sa quasi nulla, quel voltaggio elettrico nei rapporti umani e divini che abbiamo perduto per voler essere così informali, dove li troveremo? I Padri del Concilio Vaticano II ci indicano serenamente una definizione che ci sorprende per la sua umanità: la Liturgia delle Ore è la voce della Sposa che si rivolge allo Sposo. Questo concetto si rifà alla tradizione che usa il linguaggio dell’amore umano per descrivere la preghiera. L’immagine della Sposa e dello Sposo è indicativa del livello cui siamo chiamati a metterci in relazione con Dio. Oggi troviamo tanto difficile prendere Dio sul serio ed è per questo che la nostra preghiera ed il nostro culto risultano spesso, insulsi, banali e troppo umani, lontani dalla concezione dell’abbandono di tipo sponsale in quel Dio che è immerso fino in fondo nella nostra realtà. Il comandamento di pregare è inseparabile dalla vocazione di amare. Anche se non tutti sono chiamati a dedicarsi completamente alla preghiera, è la Chiesa, in quanto Corpo, in cui i fedeli sono le membra, che ha questa vocazione; perciò la preghiera del corpo appartiene a tutti noi; per mezzo di essa ci apparteniamo l’un l’altro, e tutti insieme siamo un’unica cosa con Dio. La preghiera della Chiesa sfugge ad ogni semplice definizione: segue delle regole, eppure è spontanea, vincolante ed al tempo stesso liberante; un posto improbabile dove possono incontrarsi quelli che a lungo sono stati estranei, dove può rivivere il tempo che sembrava senza vita per sempre; le braci che si spegnevano nel proprio isolamento tornano a splendere di nuovo là dove il fuoco è condiviso. Questa preghiera quasi nascosta, poco conosciuta, offerta di pochi che è offerta di tutti, non si è mai fermata e non si fermerà mai; non ha sempre bisogno di grande folle, ne può fare anche a meno; non dipende dalle nostre idee brillanti. La preghiera della Chiesa è nelle mani di Colui che è nostro Padre: è Sua e non nostra, e ci chiede non solo uno sforzo un cambiamento, ma l’abbandono, il darci l’un l’altro in una alleanza che trae origine proprio dalle sorgenti stessi della Vita, quella Vita che Gesù stesso ci ha promesso in abbondanza.

3. L’ufficio del popolo di Dio

Abbiamo tracce negli Atti degli Apostoli ma dal 260 con Eusebio di Cesarea abbiamo le funzioni pubbliche del mattino e della sera. E da Costantino in poi diviene norma universale nella Chiesa. Gli inni mattutini e vespertini divennero rapidamente una istituzione sia in Oriente che in Occidente ed erano molto popolari seguiti quotidianamente da un gran numero di persone.…Queste funzioni furono di volta in volta definite pubbliche, ecclesiali, comunitarie,parrocchiali, secolari; ma forse sono soprattutto il culto del popolo, inteso sia come culto del popolo di Dio, dell’ecclesia, sia come culto per la gente comune, per la plebs.. Il termine più adatto sembrerebbe quello di ufficio del popolo.
L’ufficio del popolo va distinto dall’ufficio monastico che ne derivò e non viceversa!!!!! Le affermazioni relative alla preghiera al culto definiti “monastici” corrono il rischio di essere false e ingannevoli. E’ più corretto confrontare la preghiera di un “gruppo instabile” con quella di un gruppo “permanente” che ha un impegno comune. Da una parte ( in parrocchia) c’è l’ufficio di popolo il cui scopo è quello di richiamare i fedeli, suscitare la loro emozione e usare ogni mezzo appropriato per permettere loro di passare da uno stato di indifferenza a uno di attenzione al Signore. E’ un cibo completo,preparato apposta, facilmente digeribile e in dosi che possono essere prese da chiunque.. Questo tipo di culto è necessario ad esempio a coloro che si trovano in uno stadio infantile della cristianità, non ancora pronti per qualcosa di più consistente. E’ per le persone che stanno attraversando un momento difficile, come un lutto. ..è per coloro che si trovano spesso lontani da uno stato di intima serenità.. come capita spesso al clero di parrocchie molto attive…

  1. Valter Toni says:

    Con un pizzico di presunzione dico che stavo pensando cose simili proprio in questi giorni, in cui mi sento un po’ col cuore più freddo. Anche stamattina pensavo a quanto ci si affida poco alla preghiera con fiducia e passione, cosa che spesso si ritirava a fare lo stesso Figlio di Dio. Grazie

  2. Io e mia moglie domattina e a vespro ci siamo.


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