Giustificazione per grazia
E’ sul sito l’intervento del 15/12 del pastore avventista del settimo giorno Giovani Caccamo.
Il bell’incontro di venerdì scorso con Giovanni Caccamo, pastore avventista del Settimo giorno, ha riproposto il tema della giustificazione per fede tanto caro a Lutero e al mondo protestante. Se su questo terreno la Chiesa cattolica ha fatto molti passi avanti, tanto da aver redatto qualche anno fa una dichiarazione congiunta col mondo protestante, ciò nondimeno a me sembra sia utile riflettere ulteriormente su cosa significhi per un cristiano la giustificazione per fede.
Prima di tutto, però, mi sembra necessario chiarire cosa si debba intendere col termine “fede”. Per il cristiano la fede non è un moto dell’intelletto, un decidere con un “si” o con un “no” se credere o meno all’esistenza di Dio. La fede è anzitutto la risposta all’affacciarsi gratuito di Dio nella nostra vita, è decidere se accettare o meno questo dono con la scelta conseguente di fare posto a Dio nella nostra vita. Fargli posto significa buttare via alcune cose vecchie e inutili per riempirle con l’Eucaristia, l’ascolto della Parola, la preghiera. Questo posto non è definito una volta per tutte, ma si dilata, a scapito di altre cose meno importanti nella nostra vita, mano a mano che cominciamo a fidarci e affidarci a Dio. Se ad esempio restiamo attaccati al denaro e al potere, se cioè ci fidiamo più di mammona che della provvidenza, allora lo spazio dedicato a Dio nella nostra vita resterà piccolo e soffocato. Se invece ci fidiamo, allora le opere saranno la naturale conseguenza del nostro far posto a Dio.
La fede è dunque essenzialmente un dono cui rispondere con un “si” o con un “no”. Ma chi questo dono non lo riceve, come si salva? Si salva per grazia, nel senso che la morte e resurrezione di Cristo va ben al di là non solo delle nostre opere ma anche della nostra fede. Quando Gesù, risorto, dice ai discepoli che li precederà in Galilea (Mt 26,32), cioè nella “Galilea delle genti”, il crocevia di tutta l’umanità credente o meno, indica che lui è già nel cuore di ogni persona ben prima che a noi venga in mente di annunciargli il Vangelo. Chi va in missione sa che va ad annunciare Cristo non in cuori deserti ma già raggiunti da quello che i Padri della Chiesa chiamavano “il seme della Parola”. Chi non sentirà mai, nella propria vita, l’annuncio esplicito di Gesù morto e risorto, nondimeno si potrà salvare per grazia, cercando di essere fedele a quella coscienza che già gli indica il bene e il male perché non “tabula rasa” ma illuminata dal seme della Parola.
In definitiva ha ragione Paolo Ricca, quando dice che la questione dirimente non è essere credenti ma essere amanti. Ci salveremo per pura grazia, ma a noi è chiesto di amare.
Luciano Benini
Hai mai pensato di scrivere un libro?
Non ti manca proprio nulla… non ti servirebbe neppure un Mac
Attendo una riflessione sulla “speranza”, anche se è quella che mi riesce meglio… forse perché è la più facile. Come ho già scritto ad “amare” ci si prova. La “fede” è un dono che con forza cerco di accogliere.
Spesso sono confuso perché non sono ancora pronto ad accogliere le parole di tutti i testimoni di Cristo (vedi “L’Infedele” di ieri sera il confronto fra Giovanni Nicolini e Baget Bozzo).
Quanto vorrei essere superiore a questo mio limite e riempirmi come dici tu di “Eucarestia, Parola e preghiera”…
Complimenti e grazie.
Valter
Caro Luciano grazie per il commento alla relazione del teologo avventista.
Sono d’accordo in tutto e soprattutto con la frase pronunciata da Paolo
Ricca sulla falsa riga di Agostino (ama e fa ciò che vuoi) Ma “amare”
pretende un cambiamento del cuore e un atteggiamento che si traduca in
comportamento operativo. E’ l’Amore che definisce o rende ragione, in
definitiva,del mio essere al mondo.Quanto è difficile!
In questo senso tu sei per me un esempio e un punto fermo. Vorrei tuttavia
che tu mi spiegassi, xché ho le idee confuse, che cosa significa missione,
di quali contenuti posso riempire questa parola che ha bisogno di essere
correttamente intesa. Se vorrai rispondermi te ne sarò grata, Irene