Atti degli Apostoli – Capitolo 13 versetti 1-15
Tribù di Beniamino
La Missione Di Barnaba e Paolo
Quando si dice che Barnaba e Saulo furono “inviati dallo Spirito Santo”, non significa che seguirono le loro ispirazioni personali. Lo Spirito operava per mezzo dei capi della comunità che digiunavano e pregavano insieme per essere guidati. Per mezzo di una profezia a questi cinque capi, lo Spirito Santo scelse Barnaba e Saulo. I capi poi li nominarono, il che implica che essi dovevano rendere conto a questi capi della loro missione. La loro relazione alla chiesa di Antiochia, al loro ritorno, ne è la conferma. Luca qui offre un modello di come i capi della chiesa dovrebbero prendere decisioni, digiunando e pregando insieme e rendendo conto l’uno all’altro.quindi essi prenderanno le loro decisioni alla luce dell’amore di Dio e non semplicemente dalla ragione umana. Essere responsabili verso altri capi assicura che una persona sta veramente ascoltando Dio e non si sta ingannando. Nell’isola di Cipro, Barnaba e Saulo s’incontrano con il mago giudeo e falso profeta Bar-Jesus che significa “figlio di Gesù”.
Il mago cercò di distogliere il proconsole dalla “fede”.
Paolo si serve di un segno punitivo contro di lui, come Pietro aveva fatto contro Anania e Saffira. Luca menziona che Saulo era “pieno di Spirito Santo” e che il mago rimase temporaneamente cieco. Il segno convertì il governatore. In modo piuttosto sorprendente “la dottrina del Signore”. Una dottrina implica più che semplici parole. Segni potenti confermano la sua verità. Questa è la prima volta che si usa il nome di Paolo negli Atti.
Inseguitori della Parola
Luca usa l’espressione “parola di Dio”. Parola di Dio in quanto contenuto di un annuncio? Non è semplicemente questo, anzi non è esattamente questo. L’espressione “parola di Dio” indica in Luca il protagonismo di Dio, quella presenza del Dio vivente per cui egli realizza l’opera sua, quell’opera che si è compiuta una volta per tutte mediante l’incarnazione del Figlio, che è disceso e risalito, che è morto ed è risorto, che è intronizzato nella gloria e quell’opera di Dio che con potenza di Spirito Santo, si compie nella storia umana in modo tale che tutte le creature siano raccolte, ricapitolate nella comunione con il Figlio glorioso, nella comunione con il corpo glorioso del Figlio risorto dai morti. E’ l’opera di Dio.Questa opera si compie in forza di quella presenza che interpella, che chiama, che suggerisce, che educa, che è presenza che si fa ascoltare nell’intimo del cuore, nella profondità del cuore umano, suscitando degli echi sempre più eloquenti. E’ la parola di Dio. E i nostri inviati, i nostri missionari, sono descritti da Luca come coloro che inseguono la Parola. Non sono esattamente annunciatori della parola, che pure è un’espressione usata, non c’è alcun dubbio, ma annunciatori non nel senso che loro fabbricano quel messaggio, lo impacchettano e poi lo trasmettono, e lo consegnano a dei destinatari, a seconda delle occasioni più o meno favorevoli. Essi sono al servizio di quella parola da loro annunciata in quanto sono impegnati a percepire e valorizzare l’eco che la parola di Dio suscita nel cuore dell’uomo, là dove la parola di Dio è protagonista e i nostri missionari sono contemplativi. Essi inseguono la parola di Dio che avanza, che è dotata di una forza sua, di una sua energia travolgente, di una sua eloquenza penetrante. E’ la parola di Dio che si fa ascoltare. E gli inviati sono coloro che prendono contatto con le situazioni più diverse, prendono contatto con ogni persona per affacciarsi su quella misteriosa profondità che si spalanca sul cuore di ogni uomo là dove la parola di Dio si fa ascoltare. I missionari sono coloro che rendono testimonianza a quella parola ascoltata, ricevuta, che riecheggia, che attrae a sé la corrispondenza, l’adesione, la fede. I missionari non sono gli organizzatori di una certa impresa associativa, non sono neanche i propugnatori di una certa dottrina che dev’essere inoculata nei propri interlocutori. Tutto questo in qualche modo ha anche una sua evidente verità, ma è qualcosa che viene molto dopo. I nostri missionari sono testimoni della presenza del mistero nel cuore dell’uomo: quella presenza che è parlante, che è penetrante, che è coinvolgente. Là dove con potenza di Spirito Santo gli uomini sono chiamati a incontrare il Signore Gesù, sono chiamati a riconoscere nel Signore Gesù il compagno, l’amico, il fratello della loro vita. Potenza di Spirito Santo che rende profeti, che rende gli uomini capaci di chiamare per nome il Signore glorioso: si chiama Gesù. E’ l’opera di Dio. Certo la presenza dei nostri missionari non è superflua, mai, ma bisogna che ne intendiamo bene la modalità, il contenuto, il valore specifico.
Il volto Missionario Della Parrocchia
Prima di individuare le strade e i mezzi per raggiungere l’obiettivo sembra opportuno richiamare le coordinate, le motivazioni della missionarietà. Perché la parrocchia deve essere una comunità missionaria, perché bisogna preoccuparsi di dare un volto missionario alla comunità parrocchiale? Senza riferimento a ciò che oggettivamente viene prima della parrocchia non avrebbe senso parlare delle scelte da intraprendere per realizzare una parrocchia missionaria.
Se vogliamo partire dal punto giusto, dobbiamo guardare a Gesù Cristo, l’inviato del Padre, il primo e fondamentale missionario. Per rivelare il suo amore per l’uomo, per illuminarlo, perdonarlo e salvarlo Dio ha mandato nel mondo il suo Figlio unigenito. Egli è venuto per salvare “tutto” l’uomo e tutti gli uomini. Egli è morto per la salvezza di tutti ed è risorto per la speranza di tutti.
La Chiesa esiste per continuare l’opera salvifica di Gesù. Essa non ha una missione propria da svolgere: è chiamata a mettersi al servizio dell’unica missione, che è quella di Cristo: deve comunicare il Vangelo fino agli ultimi confini della terra, facendo proprio l’orizzonte della salvezza di Cristo. Si comprende allora perché anche la parrocchia, in quanto articolazione e struttura di base della Chiesa, debba essere essenzialmente missionaria.
Anche le parole di Giovanni Paolo II, pronunciate sulla piana di Montorso davanti ad un AC in festa, rispondono proprio al desiderio di mettersi alla sequela di Gesù nelle città e nei contesti di vita che si è chiamati a fecondare, e risuonano come un invito a vivere la vocazione alla laicità in pienezza, esplorando i sentieri della missione con competenza creativa e con passione autentica per il bene comune.
“A voi laici- dice il Papa nella sua omelia- spetta di testimoniare la fede mediante le virtù che vi sono specifiche: la fedeltà e la tenerezza in famiglia, la competenza nel lavoro, la tenacia nel servire il bene comune, la solidarietà nelle relazioni sociali, la creatività nell’intraprendere opere utili all’evangelizzazione e alla promozione umana
Incontro con il Mago
Allora Saulo ripieno di Spirito Santo fissando i propri occhi nei suoi severamente gli disse: “O ammasso di astuzia e di perversità, figlio del diavolo e nemico di ogni giustizia non vuoi finire di attraversare le diritte vie del Signore? Ecco dunque che la sua mano s’abbatte su di te: tu diventerai cieco ed ecco ci vorrà del tempo prima che tu riveda la luce del sole!”
Immediatamente piombò su di lui una gran caligine ed egli cercava a tentoni qualcuno che lo guidasse per mano.
Nell’isola di Cipro si registra lo scontro tra un mago di origine giudaiche Bariesus
(“figlio di Gesù”) definito anche Elimas, forma grecizzata del soprannome aramaico
“halema” cioè “interprete di sogni” e Saulo che lo chiamerà “figlio del diavolo”,
accusandolo di pervertire con l’inganno, il proconsole romano dell’isola, Sergio Paolo.
La punizione determinata da Paolo diventa un segno della incontrastata potenza del Signore.
La figura poi di questo incantatore accecato improvvisamente, che dal fondo delle sue tenebre si protende, in cerca di una mano che lo guidi, diventa un simbolo dell’oscurità che cala, su chiunque ardisca rifiutare l’offerta della salvezza e pretenda di impedire la visuale anche a quelli che la cercano.
Su Elimas, l’apostolo fa scendere la cecità, segno della menzogna che è in lui, così da impedirgli di condurre altri alla falsità.
Qui il mago diventa cieco “e ci vorrà del tempo” “un certo tempo” il tempo di ritrovare la retta via, la via della conversione.
Da questa punizione parte un parallelismo che si riproduce alla lettera con la punizione che Paolo sofferse per approdare alla conversione.
Il miracolo della conversione è l’evento più grande che l’uomo possa sperimentare.
Paolo nella lettera ai Galati 1,11-19 ci racconta quello che è accaduto a lui, il miracolo della sua conversione, quando Dio ha abbattuto la sua superbia e l’ha gettato nella polvere, dalla quale si è rialzato un uomo completamente nuovo, tutto votato al servizio di Dio, fino a dare la sua vita.
Da persecutore di Cristo e dei cristiani ad annunziatore e difensore di Cristo “in mezzo ai pagani SUBITO senza consultare nessun uomo”.
Dio compie il miracolo della conversione -PIÙ DIFFICILE CHE SPOSTARE UNA MONTAGNA- perché neppure Dio può richiamare alla vita un’anima, se essa non si rende disponibile, se essa non fa il primo passo.
Dio aspetta un nostro cenno, anche solo un timido gesto, per operare in noi il miracolo della conversione.
La conversione è un cammino di lacrime e di gioia, di scoraggiamenti e di conquista, ma l’esito è la scoperta della bellezza e della grandezza della vita con Dio.
Come Gesù si servì di un po’ di fango per dare la vista a un cieco, così ancora oggi può servirsi di noi, povere creature, per dare la vista della fede a tante anime.
Litigare per il possesso dei beni della terra e disinteressarsi dei beni del cielo, questa è la cecità dell’uomo di oggi, di ieri, di domani.
Lassù rideremo e, se potessimo piangere, piangeremo di esserci tanto affannati per le cose di nessun conto.
Se qualcuno ti offende pensa che sei messo alla prova. Ogni volte che qualcuno dimostra poca stima di te, pensa che sei messo alla prova.
Quando ci si vendica ci si mette sul piano del nostro nemico: questa è cecità.
Ogni istante della mia vita è ricco di eternità, questo è non essere ciechi oggi.
”Se un tuo nemico ha fame, dagli da mangiare, se ha sete dagli da bere e il Signore ti ricompenserà” Rm12,20.
Non ricordare le ferite che forse gli altri hanno dimenticato.
Non ricordare alla memoria le ingiurie patite.
Getta il male che hai ricevuto nell’abisso profondo dell’oblio. Questo è ritrovare la vista per chi è cieco!
Cercare di scoprire i pregi piuttosto che i difetti. Sforzarsi di giudicare bene ogni operato, come fa l’ape che trae dal miele ogni cosa.
Saper perdonare anche se stesso, senza trascinare i complessi di colpa. Dio ha perdonato! Impariamo a perdonarci e troveremo la pace dello spirito.
Riacquisteremo la vista per noi stessi e la doneremo agli altri e saremo lampade…..
Le Mie Impressioni
Leggendo questo Brano mi è rimasto impresso il versetto del confronto tra Paolo e il Mago Elimas.
Quello che mi ha stupito è la diversità di trattamento che intercorre tra il mago e Anania e Saffira nel cap.5.
Mentre nel primo caso c’è proprio un comportamento ostile e di rottura con la predicazione di Paolo, tanto che lo stesso lo accusa di tentare di sviare le vie del signore, il secondo caso mi era sembrato più un peccato veniale, evidentemente la nostra capacità di giudicare ( umana ) e diversa da quella dello Spirito Santo.
La stessa punizione data al Mago in pratica la cecità temporanea ( come quella che colpì Paolo) mi fa pensare ad un modo per convertire più che condannare, e quindi mi chiedo quante volte nella vita ho giudicato e condannato arrogandomi un diritto che non possiedo?
Se il Signore come dimostra quest’episodio, da speranza a tutti i peccatori, perché ancora oggi non riusciamo a perdonare a chi ci ha fatto un torto.
Quanti maghi ancora ci sono che cercano di sconvolgere le vie del Signore, e quanti ancora sono i ciechi che hanno bisogno di essere presi per mano?
Allora affidandoci allo Spirito Santo è ora di cercare di uscire dalla cecità che il mondo d’oggi con falsi maghi e profeti c’induce, e cercare di cambiare vita, di percorrere le vie del Signore per essere d’esempio per i nostri figli e per quei giovani che si affacciano al mondo, perché non dobbiamo sentirci accusare di essere per loro causa di scandalo.
Riflessioni
Volendo analizzare questo brano, ci sono molteplici spunti di riflessioni e anche d’attualizzazioni.
A cominciare dalla citazione sui Profeti, e su i Dottori, come le comunità si riuniva e pregava, a tutta una simbologia di gesti che ritroviamo tuttora nella liturgia.
Ma un messaggio che salta agli occhi, e la forza della preghiera e del digiuno.
Anche se è vero che in ogni caso è sempre lo Spirito Santo che chiama, e quindi la vocazione e sicuramente individuale, ma è la forza di tutta la comunità riunita in preghiera e in digiuno che fa discernimento, lo stesso gesto di imporre le mani prima della missione dimostra l’importanza che rivestiva la comunità al tempo degli Atti, un’importanza che è necessaria proprio per dar forza a tutta quell’opera missionaria che i primi apostoli andavano a cominciare nel mondo.
Ma non è e non può essere una comunità intesa come spazio ( cioè delimitata dalle mura di una costruzione ) ma una chiesa universale intesa come individui singolari che insieme fanno la Chiesa e il corpo di Cristo.
Tutto questo dovrebbe tradursi in quella comunione tra fratelli, condizione che ci deriva dall’essere figli ( seppur adottivi ) dello stesso Padre.
Anche la chiamata ai ministeri deve per forza essere sostenuta con le preghiere da tutta l’assemblea, perché e vero che la chiamata è individuale ma è come se fosse una chiamata per la comunità.
1. Bisognerebbe poi recuperare la sacralità delle liturgie, compresi i gesti rituali che secondo me hanno una grande importanza, come non pensare a Don Vincenzo quando il giorno della Cresima impose le mani sui ragazzi, io ho pensato subito a questo brano.
2. La missione, che deve essere portata avanti qui oggi sia come diffusione della parola di Cristo, sia come carità verso i malati e i poveri, mi viene in mente subito casa Betania, casa Nazaret, tutte le nostre sorelle che operano con la Caritas.
Penso che questo brano dia spunto ad una serie di riflessioni e domande, molte attuali per la nostra comunità, io credo che ognuno di noi nel nostro piccolo, senza essere eroi e con un sorriso, possa con molta umiltà farsi missionario e prendere per le mani quel fratello che momentaneamente è rimasto cieco, ricordandoci che potrebbe diventare una nostra condizione, e anche noi in qualche momento avremmo bisogno di chi ci prenda per mano.
Per un’attualizzazione del brano biblico:
1) “Dopo aver digiunato e pregato, imposero loro le mani…”. Con l’opera degli Apostoli e di Paolo scopriamo sempre più la fisionomia e la prassi delle prime comunità cristiane.
Qual era la tua idea di comunità cristiana, prima di leggere gli Atti? Che cosa ti colpisce delle comunità descritte da Luca? Quali passi reputi necessario compiere per arrivare a tradurre in pratica gli insegnamenti degli Atti?
2) La Buona Notizia non si comprende se non la si inquadra nella storia della salvezza. Quante “buone notizie” ritrovo nella mia storia personale? Oppure mi ricordo solo di quelle “cattive”
inseguitori della Parola
Luca usa l’espressione “parola di Dio”. Parola di Dio in quanto contenuto di un annuncio? Non è semplicemente questo, anzi non è esattamente questo. L’espressione “parola di Dio” indica in Luca il protagonismo di Dio, quella presenza del Dio vivente per cui egli realizza l’opera sua, quell’opera che si è compiuta una volta per tutte mediante l’incarnazione del Figlio, che è disceso e risalito, che è morto ed è risorto, che è intronizzato nella gloria e quell’opera di Dio che con potenza di Spirito Santo, si compie nella storia umana in modo tale che tutte le creature siano raccolte, ricapitolate nella comunione con il Figlio glorioso, nella comunione con il corpo glorioso del Figlio risorto dai morti. E’ l’opera di Dio.
Questa opera si compie in forza di quella presenza che interpella, che chiama, che suggerisce, che educa, che è presenza che si fa ascoltare nell’intimo del cuore, nella profondità del cuore umano, suscitando degli echi sempre più eloquenti. E’ la parola di Dio. E i nostri inviati, i nostri missionari, sono descritti da Luca come coloro che inseguono la Parola. Non sono esattamente annunciatori della parola, che pure è un’espressione usata, non c’è alcun dubbio, ma annunciatori non nel senso che loro fabbricano quel messaggio, lo impacchettano e poi lo trasmettono, e lo consegnano a dei destinatari, a seconda delle occasioni più o meno favorevoli. Essi sono al servizio di quella parola da loro annunciata in quanto sono impegnati a percepire e valorizzare l’eco che la parola di Dio suscita nel cuore dell’uomo, là dove la parola di Dio è protagonista e i nostri missionari sono contemplativi. Essi inseguono la parola di Dio che avanza, che è dotata di una forza sua, di una sua energia travolgente, di una sua eloquenza penetrante. E’ la parola di Dio che si fa ascoltare. E gli inviati sono coloro che prendono contatto con le situazioni più diverse, prendono contatto con ogni persona per affacciarsi su quella misteriosa profondità che si spalanca sul cuore di ogni uomo là dove la parola di Dio si fa ascoltare. I missionari sono coloro che rendono testimonianza a quella parola ascoltata, ricevuta, che riecheggia, che attrae a sé la corrispondenza, l’adesione, la fede. I missionari non sono gli organizzatori di una certa impresa associativa, non sono neanche i propugnatori di una certa dottrina che dev’essere inoculata nei propri interlocutori. Tutto questo in qualche modo ha anche una sua evidente verità, ma è qualcosa che viene molto dopo. I nostri missionari sono testimoni della presenza del mistero nel cuore dell’uomo: quella presenza che è parlante, che è penetrante, che è coinvolgente. Là dove con potenza di Spirito Santo gli uomini sono chiamati a incontrare il Signore Gesù, sono chiamati a riconoscere nel Signore Gesù il compagno, l’amico, il fratello della loro vita. Potenza di Spirito Santo che rende profeti, che rende gli uomini capaci di chiamare per nome il Signore glorioso: si chiama Gesù. E’ l’opera di Dio. Certo la presenza dei nostri missionari non è superflua, mai, ma bisogna che ne intendiamo bene la modalità, il contenuto, il valore specifico.